Uno spettro si aggira per Bologna

Uno spettro si aggira per Bologna

“Ci siamo iscritti a questa Facoltà nuova che poi non era una Facoltà, ma qualcosa di facoltativo, non capiamo bene se è roba per fighetti, o un buco dove qualsiasi sbandato poteva intrufolarsi e rifarsi la buccia.

E’ andata che siamo finiti al DAMS, e ci sembra che tutti questi anni se ne stiano lì fuori dalla porta fatti e finiti, fino a quell’anno in cui tutto successe”.

Matricola 13 (autore singolo o autore collettivo?) così introduce “Un breve manuale dadadams. Scritto al presente” Con l’intenzione esplicita di resuscitare “gli artefici caduti nell’oblio”. Un pamphlet con inedite falsità e dimenticate verità.

Nelle celebrazioni per i 50 anni del DAMS la parola è a quelli noti, che hanno frequentato il DAMS, o più spesso lo hanno solo sfiorato. Poi alla mostra No Dams si susseguono foto e video in cui sono presenti tanti volti di studenti, di cui si è persa traccia.

Matricola 13 dà voce a questi volti che narrano in maniera ironica, tragica, caustica, surreale, situazionista, dadamsiana -col corredo di testimonianze di prima mano, o anche di seconda, di ambigua attribuzione, in ogni caso sempre in bilico tra vero e verosimile- i primi anni del DAMS. Quelli dal 1971 al 1979. Gli anni della Guerra Incivile del DAMS.

Un DAMS caratterizzato da uno spreco umano debordante.

“Lo spreco di DAMS: una gioventù accattona che non gli frega di diventare commercialista.

Arte, solo arte di corpi confusi, ad arte.

Vite sprecate nella notte, dove ci si allena a stare il più svegli possibile in una città che è come una scenografia messa su da Escher, e poi al sorgere della luce cammini chilometri finché non ti viene fame, allora entri in aula con un panino, ti siedi, ti riposi, e mastichi aspettando che qualcuno ti spieghi Greimas, o anche basta Paolo Fabbri che ci guarda tutti che gli facciamo schifo ma lui sorride sempre…

E poi di nuovo la notte, una bottiglia di rosso in quattro e ancora panini, panini…giorno, piatto caldo alla mensa universitaria, merda a 500 lire.

Nessuna vita è stata sprecata meglio che nel DAMS, lì nessun studente è stato maltratto, nessun docente è stato infilzato in una vergine d’acciaio accademica. Giammai una lezione diventa fare una lezione, solo ascoltare una voce sul fondo davanti a una lavagna, drammaturgia? Semiologia? Istituzioni di regia? Che differenza fa?”

Linguaggio e pensieri ibernati per 50 anni. Risveglio. Guardarsi attorno. Sorpresa e disgusto.

“Ma voi ci avete fatto caso a quelle biografie Wikipedia, cv o altro, di gente che si vergogna di dire che ha fatto il DAMS e suonano cose del tipo ‘si è laureato in Lettere indirizzo semiotico, ha studiato con Eco’, et varie e simili. Questi qua fanno quasi sempre gli intellettuali di professione, casomai accademici. Questi/queste qua, che sfuggono all’acronimo, e vanno in giro a fare convegni, lezioni e pubblicano saggi e articoli, quando erano giovani si vergognavano anche di esserlo?”

Poi le matricole 13 si annusano, si cercano, si contano. Chi risponde e chi manca all’appello.

“Gli studenti che si sono sprecati nel DAMS dei settanta oggi sono metà morti per cattiva manutenzione e metà vivi per eccesso di ottimismo. Abbandonando tutte le posizioni mai la meta fu così vicina.

L’ha detto per tutti Matteo Guerrino “La Rivoluzione è Finita, abbiamo Vinto!”

Uno spettro si aggira per Bologna.

 

Matricola 13. Sulla guerra incivile del DAMS. 1971/1079. Modo Infoshop. Bologna. Euro 3

L’Estate dei musei

L’Estate dei musei

Estate difficile per i musei nel mondo. Dopo i mesi di chiusura nel lockdown, le riaperture estive hanno segnato il 60-70% di presenze in meno rispetto allo scorso anno. Il Louvre -75% in luglio; -60% in agosto. I 13 musei della Istituzione Bologna Musei: -78% in giugno; -63% in luglio; -51% in agosto.

Nei mesi estivi i turisti sono sempre stati maggioranza, soprattutto i turisti stranieri. Quest’anno le città d’arte europee hanno perso i turisti d’oltreoceano e hanno raccolto un turismo più di prossimità che non ha compensato nei numeri gli stranieri dello scorso anno. D’altra parte il post-lockdown ha riempito le località costiere e di montagna, non certo i musei. Le visite ai musei sono state rimandate ai prossimi mesi.

Al Louvre nell’estate dello scorso anno i visitatori stranieri erano il 75%. Quest’anno sono passati al 20%. Nei musei civici di Bologna la scorsa estate le presenze straniere erano oltre il 50%. Quest’anno si sono ridotte al 20%. Scomparsi gli statunitensi (che erano il 16%), canadesi, cinesi, australiani le provenienze degli stranieri nei musei bolognesi hanno visto il prevalere di chi poteva raggiungere Bologna in auto. Francia con il 23% e Germania con il 14% hanno raddoppiato rispetto allo scorso anno; poi Olanda, Spagna, Belgio, Austria, Svizzera. Ha ottenuto un leggero incremento al 15% il Regno Unito, servito da numerosi e convenienti collegamenti aerei con il capoluogo dell’Emilia-Romagna.

I musei civici di Bologna non si sono limitati ad aprire i musei – fin dal 18 maggio, primo giorno possibile – ma hanno anche ricominciato, in sicurezza, a portare avanti attività in presenza. Campi estivi per giovanissimi e adolescenti, concerti di musica e performance notturne alla Certosa monumentale. Tutti i posti a disposizione sono andati esauriti.

Per i musei di tutto il mondo si tratta ora di ricominciare, sapendo che i numeri del 2019 saranno recuperati solo nel 2021.

I numeri sono importanti, soprattutto per i bilanci economici, ma non sono tutto perché i musei pubblici non sono solo sale espositive, ma veri e propri hub culturali. Questa crisi offre quindi la possibilità di approfondire tematiche talvolta oscurate dalla rincorsa dei numeri con mostre blockbuster. Ai turisti, che saranno alla ricerca di esperienze autentiche che allarghino la conoscenza della città, è importante fornire una più efficace comunicazione della ricchezza culturale delle collezioni permanenti e offrire mostre di dimensioni ridotte, ma di grande qualità attraverso lo scambio di opere con altri musei. Dialoghi tra opere che arricchiscono le narrazioni dei musei che partecipano allo scambio senza gravare sui costi. Verso i residenti si progetteranno iniziative di welfare culturale, sia attraverso percorsi nello spazio e nel tempo che propongono narrazioni originali anche intermuseali sia attraverso un incremento delle attività di mediazione culturale. I musei devono uscire dalle proprie mura e raggiungere i pubblici più fragili e i nuovi cittadini che attualmente sono non-pubblici. Iniziative inclusive che non hanno come target larghi numeri, ma che sono in grado di sedimentare nel tempo un approccio critico alla frequenza museale. Al mondo della scuola i musei bolognesi fanno una triplice proposta, la più ricca possibile, considerando anche che molti musei nel mondo hanno annullato per un paio di anni l’attività didattica.

Apertura dei laboratori all’interno dei musei. Laboratori on-line come durante il lockdown. Terza possibilità, la presenza dei responsabili delle attività didattiche museali nelle scuole.

La diminuzione di presenze è stata elevata ma è importante uscire dalla crisi non aspettando passivamente il ritorno dei turisti ma con progettualità nuove e originali in grado di coinvolgere i turisti, i residenti e il mondo della scuola.

*NOTA: foto di Stefano Laddomanda.

Il Coronavirus ha cambiato la nostra vita?

Il Coronavirus ha cambiato la nostra vita?

Quanto la pandemia ha cambiato la nostra vita? Come paese usciamo dalla pandemia più uniti o più divisi?

A queste domande ha risposto un sondaggio del Pew Research Center che ha interessato 14 tra i paesi (Europa, Nord America, Australia, Giappone, Corea del Sud) economicamente più avanzati.

I 14 paesi hanno affrontato il Covid-19 in tempi diversi adottando misure differenti, dal lockdown dell’intera nazione a interventi molto meno drastici. Queste diverse scelte politiche hanno influenzato la percezione del cambiamento che è intervenuto nella nostra vita? La mediana di tutti paesi afferma che il 58% delle popolazioni ha percepito un grande cambiamento e il 42% nessun cambiamento o una modifica molto lieve.

La mediana copre, al proprio interno,. situazioni tra loro molto diverse. I paesi in cui la percezione di un grande cambiamento ha interessato almeno i due terzi della popolazione: Corea del Sud (81%), Svezia (71%), Usa (67%), Regno Unito (66%), Giappone (65%), Canada (64%). La percezione di cambiamento, sempre maggioritaria ma con percentuali minori, ha interessato anche Spagna (60%) e Italia (56%).

In sei paesi almeno la metà della popolazione ha affermato che la propria vita non è cambiata molto: Danimarca (73%), Germania (61%), Olanda (54%), Francia e Australia (53), Belgio(51%).

Non è possibile individuare una corrispondenza meccanica tra le scelte adottate dai governi e la percezione di cambiamento, ma pur con qualche eccezione è possibile ipotizzare che l’assenza di misure rigide come il lockdown abbia incrementato piuttosto che diminuito il senso di un grande cambiamento.

Se andiamo più in profondità vediamo che la percentuale di donne che ha affermato che la loro vita è cambiata durante il coronavirus è superiore a quella degli uomini in tutti i 14 paesi, con differenze percentuali inferiori all’8% in Olanda, Germania, Danimarca, Spagna, Corea del Sud. Percentuali superiori del 15% in Svezia, Stati Uniti e Francia. Negli altri paesi le differenze sono state tra il 10% (in Italia) e il 12%. La maggiore percezione di cambiamento delle donne è stata determinata sia dall’essere più degli uomini lavoratrici part time (a cui è stato spesso sospeso il lavoro) sia dall’incremento generalizzato a tutti i paesi del lavoro domestico.

Nei mesi scorsi si è poi parlato molto di come la pandemia abbia unito di più i paesi al proprio interno nel momento del pericolo. Anche le opinioni su questo tema sono molto divise e contrapposte. Il 46% afferma infatti che il paese è più unito, il 48% più diviso.

I paesi in cui prevale chi pensa che il paese sia oggi più unito sono: Danimarca (72%), Canada (66%), Svezia (58%), Corea del Sud (56%), Australia (54%). Il paese la cui popolazione pensa che la gestione della crisi Covid-19 abbia ampliato le divisioni interne è gli Stati Uniti dove ciò che sta succedendo anche oggi è una ulteriore conferma. La percezione di una maggiore divisione ha coinvolto gli altri paesi, con percentuali superiori al 50% in Spagna (59%), Belgio(55%), Germania e Italia (54%), Olanda (53%).

Dai risultati di questa indagine internazionale emerge che le percezioni sulle conseguenze della lotta al coronavirus sono molto diverse da paese a paese e che dipendono da variabili ideologiche, sociali, personali incrociate con gli interventi portati avanti nei singoli paesi.

Governi Popolazioni e Covid-19

Governi Popolazioni e Covid-19

Come le popolazioni hanno giudicato il modo in cui il proprio paese ha reagito alla pandemia scatenata dal Covid-19? Una maggiore cooperazione internazionale sarebbe stata utile?

A queste domande ha risposto un sondaggio del Pew Research Center che ha interessato 14 tra i paesi (Europa, Nord America, Australia, Giappone, Corea del Sud) economicamente più avanzati.

Le politiche anti Covid-19 adottate da ciascuna nazione sono state, come sappiamo, tra loro molto differenti, con conseguenze pratiche diverse per le popolazioni. A fronte di questa eterogeneità di scelte la percezione delle popolazioni è stata sostanzialmente positiva.

Una mediana del 74% ha infatti giudicato positivi gli interventi dei propri governanti.

Non dobbiamo però farci ingannare. Vi sono state sì percezioni positive: oltre l’86% in Danimarca, Australia, Canada, Germania, Olanda, Corea del Sud. Ma vi sono state percentuali anche al di sotto del 50%: Regno Unito (46%) e Usa (47%). Tra il 50% e il 60%: Spagna (54%), Giappone (56%), Francia (59%).

L’Italia è il paese in cui le opinioni corrispondono alla mediana, con un 74% di condivisione delle misure prese dal governo.

I paesi in cui i pareri negativi hanno superato quelli positivi, come è avvenuto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, sono non a caso quelli che, anche a parere di Pew Research Center, hanno una elevata polarizzazione politica. Negli Usa, infatti, il 76% di chi è vicino ai Repubblicani giudica positiva l’azione anti Covid-19 del presidente Trump, tra i Democratici solo il 25%. Questo delta del 51% è la conferma della grande divisione nel paese. Nel Regno Unito il giudizio positivo sulle scelte di Boris Johnson ha raggiunto il 56% tra i conservatori ed è sceso al 26% tra i progressisti. Questa contrapposizione guidata dalla opinione politica si è presentata anche in Spagna, guidata da un governo di centrosinistra: il 76% di chi è su posizioni progressiste ha approvato le scelte del governo, solo il 40% da chi si dichiara conservatore o di destra.

Se nei tre casi precedenti la differenza di opinione secondo divisioni ideologiche era in percentuali elevate tra il 30% e il 51%, in altri casi questa differenza non ha superato il 20%, segno di una incidenza minore della scelta ideologica rispetto alla adozione di variabili di giudizio più pragmatiche sui risultati ottenuti.

Chi ha posizioni più progressiste e di sinistra ha approvato le azioni dei propri governi con percentuali superiori a chi è su posizioni conservatrici e di destra in Italia del 18%, Svezia del 17%, Corea del Sud del 15%.

Un altro tema approfondito nella indagine fa riferimento all’opinione emersa nei mesi scorsi che una maggiore cooperazione internazionale avrebbe ridotto i casi di coronavirus.

I paesi scettici sull’utilità di questa cooperazione sono: Danimarca (78%), Australia (59%), Germania (56%), Giappone (53%), Canada ( 51%). Quelli che pensano che la cooperazione internazionale sarebbe stata utile con percentuali tra il 60% e il 70%: Belgio, Regno Unito, Spagna, Francia, Olanda Svezia. Con percentuali minori, ma sempre maggioritarie a favore della cooperazione internazionale, Usa (58%) e Italia (54%).

In 13 paesi i giovani tra i 18 e i 29 anni sono quelli più convinti della positività di una cooperazione internazionale per battere il coronavirus. Unica eccezione la Corea del Sud dove gli oltre 50 anni sono convinti al 63% e i giovani al 54%. In Italia il parere favorevole è al 50% tra le due classi di età 30-49 e oltre 50 anni e del 77% tra i 18 e i 29 anni.

Dai risultati della ricerca emerge che là dove la contrapposizione ideologica interna a un paese è maggiore, minore è stato il giudizio positivo su quanto fatto dal governo per fronteggiare il Covid-19 e

che i giovani sono fermamente convinti che una maggiore cooperazione internazionale sarebbe servita per diminuire le conseguenze negative del coronavirus.

 

Humanity

Humanity

Ricevo questa mail da Pechino.

Oggetto: I want to help from Beijing

Dear Prof. Grandi,

I’ve heard about the outbreak of coronavirus in Italia and I feel sorry and I’m so worried about you, how’s the situation now in Bologna and is there anything I can do for you?

I heard that the entire country was locked down, is it possible to send you some face masks or other medical materials you need from here Beijing? Anyway I’d like to try, could you please tell me your delivery address and phone number?

Don’t forget that you have so many students who love you so deeply in China and all over the world, you are extremely important to us, please be healthy!

Please tell me what else you need, I’ll try my best.

Miss you.

Yours