da Roberto Grandi | 12 Mag, 2020 | Bologna, Intervista
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Il nuovo Decreto Ministeriale ha disposto la riapertura dei musei civici e delle sedi espositive a partire dal 18 maggio, secondo un piano sperimentale. Aperture contingentate e su prenotazione, sanificazione degli ambienti e misure di sicurezza per pubblico e dipendenti saranno i capisaldi di questo graduale “ritorno alla normalità”.
Come cambierà la fruizione della cultura in Italia e nel mondo in seguito all’emergenza sanitaria? Ne abbiamo parlato con Roberto Grandi, Professore Ordinario di Sociologia della Comunicazione nell’Università di Bologna, Direttore del Master in Digital Marketing and Communication di Bologna Business School e Presidente dell’Istituzione Bologna Musei.
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da Roberto Grandi | 23 Apr, 2020 | Bologna, Intervista
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Roberto Grandi è un esperto di problematiche di sviluppo dei processi culturali e delle comunicazioni di massa. Insegna all’Università di Bologna e dal 2017 è presidente dell’Istituzione Bologna Musei.
In passato è stato Assessore alla Cultura al Comune di Bologna e Pro Rettore all’Università di Bologna e ha lavorato per la televisione pubblica e privata. Negli anni ha approfondito il tema della comunicazione su tutti i livelli, dalla pubblicità alla moda, dalla politica alla comunicazione delle imprese e alle politiche di branding, in particolare quelle territoriali, nel loro impatto con lo sviluppo dei media digitali.
Chi meglio di lui può contribuire ad arricchire la nostra riflessione su questa grave crisi di tutto il comparto culturale causata dal distanziamento sociale e chi meglio può aiutarci a capire il ruolo che hanno avuto i mass media in questa emergenza.
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da Roberto Grandi | 16 Gen, 2020 | Bologna, Cultura, Intervista, Media
Mentre nella regione i turisti si moltiplicano, in città cresce l’offerta culturale. Ma bisogna investire nella comunicazione, fidelizzare i cittadini e coinvolgere nuovi pubblici.
Roberto Grandi, già docente ordinario di Sociologia della comunicazione all’Università di Bologna ed esperto di comunicazione e mass media, dal 2017 è presidente del Cda dell’Istituzione Bologna Musei e dirige il master internazionale “New Media and Marketing Communication” presso la Bologna Business School.
In passato ha insegnato negli Stati Uniti alla University of Philadelphia, alla Stanford University e alla Brown University, e alla Tonji University a Shanghai. Dal 2000 al 2009 è stato prorettore alle relazioni internazionali all’Alma Mater Studiorum e dal 1996 al 1999 assessore alla Cultura al Comune di Bologna.
Con lui, Il Giornale dell’Arte ha fatto il punto sullo stato artistico e culturale della città di Bologna.
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da Roberto Grandi | 2 Gen, 2020 | Bologna, Intervista
L’Istituzione Bologna Musei ha di recente presentato La città e i suoi musei, nuove forme di comunicazione, progetto che si inserisce nell’ambito del Piano Museale 2018 – previsto dal Programma regionale degli interventi in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali (Legge Regionale 24 marzo 2000, n.18) – e reso possibile grazie al contributo dell’ Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna.
Patrizia Tamassia – responsabile Programmazione e coordinamento delle attività di catalogazione dell’IBC – afferma a proposito: « Uno dei principali obiettivi che ci poniamo in questo momento come Istituto per i Beni Culturali [in riferimento alla LR.18, ndr] è quello di creare sistemi, ovvero modalità di collaborazione e organizzazione che vadano oltre l’attività del singolo museo, in modo da valorizzare di più il patrimonio culturale e ciò che riusciamo a riversare sul territorio, dando alle istituzioni pubbliche che si impegnano in questo campo un modo per essere più incisive e arrivare in maniera più diretta al cittadino.
Negli anni precedenti l’Istituzione Bologna Musei in qualche modo non aveva svolto fino in fondo la sua funzione di aggregazione rispetto alle domande della Legge 18: l’anno scorso – parlando con Maura Grandi, referente dell’Istituzione Bologna Musei – si è pensato di trovare un modo che riuscisse a identificare quest’Istituzione come vero soggetto. Il risultato è stato un progetto di sistema museale cittadino che ha visto l’inserimento di tutta una serie di nuove modalità di comunicazione. Per noi è stato molto importante, perché il progetto è andato in una direzione che intendiamo perseguire e che, a Bologna, era soltanto potenziale».
Grazie a questo progetto , dunque, l’Istituzione inaugura l’utilizzo di nuovi strumenti per la valorizzazione « del racconto del patrimonio permanente e delle attività promosse» dagli enti e dalle strutture del circuito comunale, puntando sulle potenzialità dei social media e sulla narrazione per immagini, senza escludere il più tradizionale supporto cartaceo. Un piano d’azione in cui promuovere la cultura significa anche offrire agli utenti nuove risorse, rendere più accessibili quelle esistenti e incrementare gli strumenti a servizio della conoscenza e della fruizione del patrimonio, in una prospettiva in cui residenti e turisti vengono “chiamati in causa” senza alcuna distinzione.
Di questo – e di molti altri aspetti legati ai luoghi della cultura e ai suoi abitanti – abbiamo parlato con il prof. Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei.
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da Roberto Grandi | 5 Ott, 2018 | Intervista, Media, Politica
WhatsApp facilita l’espressione delle opinioni politiche rispetto a piattaforme sociali quali Facebook e Twitter, dove prevale una forma di autocensura. Specialmente da parte di chi è più informato, dei giovani e di chi ha opinioni estreme. Di questi comportamenti e delle implicazioni per la qualità del dibattito politico contemporaneo ne parliamo con Augusto Valeriani, docente all’Università di Bologna. Valeriani ha pubblicato su Information Communication & Society con Cristian Vaccari, docente alla Loughborough University, il saggio “Political talk on mobile instant messaging services: a comparative analysis of Germany, Italy, and the UK”.
In questo testo sono raccolti i risultati di una ricerca comparata su come le persone parlano di politica sui servizi di messaggistica istantanea quali WhatsApp, Messenger o Snapchat.
Quali sono le caratteristiche principali dei servizi di messaggistica istantanea come WhatsApp e in che cosa l’esperienza di questi servizi si differenza da quella dei social media come Facebook?
Tutti gli studi che si sono concentrati sugli utilizzi che le persone fanno di questi servizi e sulle percezioni che gli utenti hanno di questi ambienti hanno evidenziato che i mobile instant messaging service (che chiamiamo per brevità MIMS) come WhatsApp e Messenger sono considerati dai loro utilizzatori spazi più privati e protetti rispetto ai social media come Facebook, Twitter o Instagram. I social media sono piattaforme digitali in cui gli utenti sperimentano quello che è stato definito il “collasso dei contesti sociali”, perché devono gestire la propria immagine—il proprio self se vogliamo usare un termine maggiormente sociologico—in un ambiente relazionale in cui si incontrano simultaneamente con tutta la loro rete sociale digitale. I MIMS al contrario consentono di ricreare separazioni, “small boxes” per dirla con Barry Wellman, tra le molteplici dimensioni pubbliche e private del self. Per questo vengono percepiti come un’alternativa alla modalità di comunicazione broadcast che caratterizza Facebook o Twitter e che può potare alcuni utenti dei social media a rinunciare a pubblicare alcuni contenuti.
Quanto è diffusa la conversazione politica tra gli utenti di questi servizi?
Lo studio condotto da Cristian Vaccari e da me è realizzato attraverso survey online (questionari autocompilati attraverso supporti digitali) con campioni rappresentativi degli utenti di internet in Italia, Gran Bretagna e Germania. Dall’analisi dei dati emerge che l’83% dei nostri intervistati italiani utilizza i servizi MIMS e tra questi il 28% pubblica contenuti politici su queste piattaforme, allo stesso modo il 27% ha utilizzato questi servizi per intrattenere conversazioni politiche. Sono invece utenti MIMS il 55.4% degli intervistati inglesi e il 38% di questi pubblica messaggi politici, mentre il 33% discute di politica attraverso questi servizi. Infine il 62% dei tedeschi utilizza i MIMS e il 22% pubblica contenuti politici mentre il 25% discute di politica utilizzando queste piattaforme. Quello che emerge insomma è che mentre esistono differenze nella diffusione di WhatsApp e simili nei tre paesi, percentuali piuttosto alte (almeno un utente su quattro) e tendenzialmente comparabili di utenti utilizzano questi servizi per compiere azioni espressive di natura politica.
La nostra analisi ha anche rivelato che tra coloro che usano i MIMS e sono anche utenti dei social media il 51% dei tedeschi, il 51% degli inglesi, e il 43% degli italiani che hanno dichiarato di aver pubblicato messaggi di natura politica sui servizi di messaggistica istantanea non ha mai pubblicato contenuti politici su Facebook, Twitter o altre piattaforme social media. Similmente il 29% dei tedeschi, il 33% degli inglesi, e il 34% degli italiani che chattano di politica sui MIMS non si sono mai addentrati in conversazioni politiche sui social media. A nostro avviso questi dati sono estremamente interessanti perché mostrano che i servizi di messaggistica istantanea non rappresentano soltanto un’ulteriore arena di conversazione per quegli utenti dei social media che amano esporsi ed ingaggiarsi in conversazioni politiche sui social media, ma offrono anche spazio per l’engagement politico digitale a cittadini che, pur essendo utenti dei social media, per qualche ragione preferiscono evitare di esternare le loro opinioni politiche su Facebook, Instagram o simili.
Che profilo hanno dunque gli utenti che più degli altri tendono ad utilizzare i MIMS per attività espressive di natura politica?
Per rispondere a questa domanda abbiamo costruito modelli di analisi multivariata che includevano variabili (caratteristiche dei nostri intervistati) socio-demografiche, relative agli atteggiamenti politici, alle diete informative e all’uso dei media digitali. Queste analisi ci hanno restituito risultati decisamente interessanti. Da una parte è emerso che coloro che sono più informati e più attivi nella conversazione politica in generale più facilmente utilizzano anche i MIMS per scopi politici, suggerendo che questi servizi rappresentano una nuova opportunità di continuare la conversazione politica per chi è già attivo. Dall’altra però abbiamo visto come i giovani e coloro che hanno un titolo di studio più basso abbiano più probabilità degli altri (a parità di altre condizioni) di utilizzare i MIMS per la conversazione politica. Considerando che generalmente queste due caratteristiche non sono associate ad un particolare coinvolgimento nel dialogo politico, sembrerebbe che questi ambienti possano favorire l’espressione politica non solo tra i soliti noti ma anche tra new comers. In ogni caso riteniamo che i risultati più interessanti riguardino il fatto che coloro che dichiarano di essersi trovati almeno una volta nella situazione di non pubblicare un messaggio politico sui social media per paura di esporsi troppo risultano essere più propensi degli altri utenti a pubblicare contenuti politici e a discutere di politica sui MIMS. Questo conferma l’idea come la natura più intima delle piattaforme di messaggistica istantanea offra un’opportunità di espressione politica digitale ad utenti che non sono del tutto a loro agio nella situazione di collasso dei contesti che caratterizza i social media. Similmente i nostri modelli mostrano che gli intervistati che dichiarano di identificarsi in posizioni ideologiche estreme (estrema destra o estrema sinistra) sono più propensi a pubblicare contenuti politici sui MIMS degli altri. Per quei cittadini che si riconoscono in idee politiche minoritarie (come accade per coloro che si autocollocano agli estremi dello spettro ideologico) i servizi di instant messaging offrono dunque luoghi protetti dove far circolare contenuti che potrebbero essere criticati, stigmatizzati, o anche sanzionati in alcuni casi (ad esempio quando contengono hate speech, razzismo etc.) se pubblicati sui social media.
Esiste una differenza tra i comportamenti in questi tre paesi?
Avevamo ipotizzato che non soltanto variabili individuali potessero spiegare una propensione ad usare i MIMS per la conversazione e l’espressione politica, ma che anche differenze di natura sistemica possano contare. In questo senso ritenevamo che aspetti collegati alla cultura politica potessero essere rilevanti. Date le caratteristiche dei servizi di messaggistica istantanea di cui dicevo prima ci aspettavamo dunque una maggior propensione all’utilizzo dei MIMS per l’espressione politica laddove, a livello sistemico, esista una maggior difficoltà rispetto all’espressione di opinioni politiche in ambito pubblico e dove ci sia una maggiore sensibilità rispetto alla privacy, anche per quanto riguarda gli orientamenti politici. In questo senso molti studi hanno evidenziato come ancora oggi, nelle aree della ex Germania Est, a seguito del famigerato regime di sorveglianza che caratterizzava il paese durante la guerra fredda, si sia mantenuta una cultura politica caratterizzata da un marcato disagio nel discutere di questioni politiche al di fuori dell’ambito privato. Le nostre analisi hanno confermato questa nostra ipotesi mostrando che, a parità di altre condizioni, tra i nostri intervistati tedeschi che si autocensurano sui social media, coloro che sono residenti in aree della ex Germania Est sono più propensi a utilizzare i servizi di messaggistica istantanea per pubblicare contenuti politici dei loro connazionali che risiedono nelle aree della ex Germania Federale. Dunque la diversa natura dei differenti ambienti digitali può favorire o scoraggiare l’espressione politica non solo sulla base di differenze individuali ma anche rispetto a variabili sistemiche, come ad esempio la cultura politica che caratterizza un paese o un’area.
Quali sono le implicazioni per la qualità del dibattito politico contemporaneo?
Riteniamo che i risultati della nostra ricerca abbiano implicazioni ambivalenti per la qualità del dibattito politico all’interno dei sistemi mediali contemporanei. Da una parte è emerso come i servizi di messaggistica istantanea come WhatsApp offrano la possibilità di esprimere le proprie idee politiche in ambienti digitali intimi e controllati anche a cittadini che non si sentono completamente a proprio agio nell’esternare le loro opinioni politiche di fronte al proprio intero e indifferenziato network di relazioni digitali. Questo può incoraggiare un maggior numero (e una più varia tipologia) di cittadini a parlare di politica e a scambiare contenuti politici attraverso internet, potenzialmente aumentando le competenze, le conoscenze e la partecipazione politica di questi cittadini. All’opposto però, discutendo di politica in ambienti così privati e controllati, gli utenti dei MIMS possono finire per auto-intrappolarsi in piccole bolle esclusive dove si confrontano soltanto con persone molto vicine a loro e dunque assai facilmente con posizioni politiche vicine alle loro, magari anche estreme (come mostrano i nostri risultati relativi all’estremismo politico). Se questo dovesse significare una riduzione delle possibilità di confronto politico con i nostri contatti con cui abbiamo legami meno prossimi a vantaggio di scambi soltanto con i nostri contatti più prossimi allora questo potrebbe anche avere implicazioni negative per la qualità della dibattito politico e della partecipazione.