da Roberto Grandi | 10 Lug, 2019 | Cultura, Vita
Contrastare differenti forme di marginalità sociale e povertà educativa attraverso strumenti innovativi di valorizzazione dei musei. Attivare percorsi rivolti a giovani disoccupati per la formazione di competenze nell’ambito della mediazione culturale. Sviluppare strategie di facilitazione per l’accessibilità ai musei di nuovi gruppi sociali e categorie di persone con vulnerabilità psicofisiche.
Questi sono gli obiettivi del progetto “Al Museo, vieni anche tu!” promosso dalla Istituzione Bologna Musei grazie a 1.713.000 euro di Fondi Strutturali europei PON Metro 2014 – 2020.
Agli obiettivi più tradizionali e fondanti dei musei quali tutela, conservazione, educazione, promozione del patrimonio artistico e culturale si aggiunge l’inclusione di fasce nuove e diversificate della popolazione come espressione della responsabilità sociale e della accountability verso la società di queste istituzioni.
Sono numerosi i musei che nel mondo portano avanti iniziative di apertura a pubblici sempre più ampi con l’obiettivo di abbattere le soglie che impediscono o rendono difficile la visita. Queste soglie sono di carattere economico, sociale, culturale, generazionale.
Il progetto “Al Museo, vieni anche tu!”, che coinvolge tutti i 14 musei della Istituzione Bologna Musei, si rivolge ai non pubblici in maniera non generica ma individuando di volta in volta categorie specifiche che oggi sono escluse dalle attività dei musei. Per ciascuna di queste categorie saranno individuate modalità personalizzate per coinvolgerle in prima persona.
E’ una grande sfida che fa di questi 14 musei importanti agenzie di promozione culturale sul territorio.
Il primo target sono i giovani disoccupati (18 – 35 anni) L’obiettivo è promuovere competenze nell’ambito della mediazione culturale, creando così le condizioni per opportunità occupazionali legate al patrimonio culturale cittadino. I candidati selezionati parteciperanno a una formazione specifica per mediatori culturali innovativi dedicati ai musei e al loro patrimonio, per attivare reti e intercettare i diversi segmenti di “non ancora pubblici” con i relativi bisogni e fragilità. A questi giovani così formati viene garantita un’opportunità occupazionale per tutta la durata del progetto (fino ad agosto 2022), nella prospettiva che il profilo acquisito sia presto inserito in maniera generalizzata tra le nuove professionalità museali e culturali. E’ questa una modalità pragmatica efficace per convincere i musei ad assumere al proprio interno figure di questo tipo che si affiancano a quelle più tradizionali.
Un secondo target sono gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado L’obiettivo è superare la dimensione prettamente scolastica dell’offerta didattica grazie alla creazione di un sistema integrato che risponda alle esigenze di quelle scuole che hanno difficoltà nell’organizzare uscite formative, rafforzando l’accessibilità gratuita ai musei per progetti di inclusione. In tre anni saranno coinvolti 120.000 studenti.
Un terzo target sono i giovani con minori possibilità di accesso all’offerta culturale L’obiettivo è, in questo caso, l’attivazione di un empowerment culturale e sociale, anche attraverso azioni innovative che rispecchino il valore e la ricchezza del patrimonio dei musei dell’Istituzione: creatività, arte e lavoro, educazione estetica, coscienza civica, storiografia, pensiero critico e valorizzazione delle differenze.
Un ulteriore importante target sono gli anziani, disabili, persone affette da Alzheimer o altre malattie degenerative L’obiettivo è creare momenti di relazione e socialità condivisa tra persone altrimenti isolate, sia per condizioni sociali economiche e culturali che per condizioni sanitarie, e incoraggiarne l’espressione creativa attraverso la stimolazione dell’espressione e della comunicazione. Il principio guida è la percezione del museo come “luogo” di cura calato nella comunità, in cui i beneficiari non siano pazienti ma persone che possano fruire di uno spazio/veicolo di benessere. La prima struttura museale a sostenere una sperimentazione in tale settore è stato il Museum of Modern Art (MoMA) di New York nel 2006 con il progetto Meet me @ MoMA. Oggi è una pratica che viene portata avanti da vari musei in tutto il mondo.
Gli interventi del progetto prevedono un’articolata e differenziata programmazione di attività a partecipazione gratuita, estese durante tutti i mesi dell’anno. Laboratori, workshop e percorsi educativi saranno realizzati nei musei, ma anche portando il patrimonio dei musei nei territori, attraverso pratiche
anche sperimentali nei diversi ambiti dell’Istituzione Bologna Musei: arte, tecnica, musica, storia, educazione civica, memoria.
“Al Museo, vieni anche tu!”, ma anche “Museo, vieni anche tu” qua dove le opportunità culturali sono scarse o addirittura assenti.
da Roberto Grandi | 19 Giu, 2019 | Cultura, Immaginazione, Vita
Giovani gruppi punk, di rock demenziale e new wave della scena di Bologna hanno attirato al palasport della città 6000 persone. Era il 2 aprile 1979. A pochi, oggi, gruppi come gli Skiantos, i Gaznevada, Wind Open, Luti Chroma, Bieki, Naphta, Confusional Quartet, dicono qualche cosa. Ma quella sera il palazzo dello sport era stipato oltre ogni limite.
La mostra Pensatevi liberi. Bologna Rock 1979, curata da Oderso Rubini e Anna Persiani, alla Project Room di MAMbo fino al 29 settembre, parte da questa serata di musica e energia dirompente per tessere i fili della creatività esuberante che in quegli anni faceva di Bologna una delle capitali internazionali della scena creativa.
La Project Room è sommersa da materiali vari che mostrano l’intreccio creativamente originale tra musica, video, arte, fumetti, grafica, comunicazione, movimenti, politica che ha scosso Bologna dalla metà degli anni ’70 ai primi anni ’80. Quei momenti di effervescenza culturale e sociale che a macchia di leopardo toccano varie città nel corso degli anni.
Le pareti, le bacheche, le strutture della Project Room fanno da supporto a materiali originali d’epoca. Immagini su vari supporti, video, LP in vinile, documenti, fumetti, materiali visivi e grafici, strumentazioni del tempo e pubblicazioni indipendenti tessono la tela delle contaminazioni che hanno prodotto espressioni artistiche e comunicative nuove.
Muoversi in questa stanza provoca un leggero stato di ebbrezza perché si è sopraffatti dai materiali che l’affollano. Dalla visione di un centinaio di vinili che ci scrutano asettici alla fascinazione delle fanzine originali di Harpo’s, A/traverso, Svacco, Punkreas, Music Mecanique, The Great Complotto. Dalla commozione ingenua che proviamo davanti alle cassette audio all’emozione delle fotografie, al sorriso che ci dona il ritratto di Freak Antoni realizzato da Piero Manai e la scossa provocata dai collage originali di Traumfabrick, dove incontriamo Andrea Pazienza, Filippo Scozzari, Giampietro Huber, Giorgio Lavagna.
Una timeline corre sulle quattro pareti e riprende il contesto storico caratterizzato dagli eventi che in quegli anni si sono succeduti a Bologna. Quelli artistici, come la Settimana Internazionale della Performance alla Gam, un unicum a livello mondiale, la presenza del Living Theater fino al treno di John Cage e al concerto di Patty Smith. Quelli che hanno ferito e segnato la città come la morte di Francesco Lorusso, la Strage di Ustica e quella della Stazione. E infine gli eventi che in quegli anni trasformavano il mondo e il nostro modo di vivere.
La visita può suscitare un sentimento passivo di nostalgia per una Bologna che non c’è più, oppure, auspicabilmente e specialmente per chi quegli anni non li ha vissuti direttamente, la sorpresa di come sia stato e sia, quindi, ancora possibile sperimentare momenti di contaminazione tra arti e stili di vita che esplodano in forme creative nuove che accrescono la felicità sia individuale che pubblica.
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da Roberto Grandi | 6 Giu, 2019 | Cultura, Vita
188 stemmi araldici, che decorano un’unica magnifica sala, raccontano la storia del governo pontificio della città di Bologna dal XIV al XVIII secolo. Sul portale Storia e Memoria di Bologna chiunque può perdersi e, forse, ritrovarsi intrecciando le storie biografiche dei singoli legati pontifici con gli eventi accaduti non solo a Bologna, ma in Europa in quei cinque secoli.
Ai 188 stemmi corrispondono le vite di cardinali legati (che governarono Bologna nel nome del papa), governatori e altri amministratori del governo pontificio. Per riconoscerne il ruolo è necessario guardare quello che il portale definisce il simbolo della dignità ricoperta, collocato sopra ogni stemma. Il cappello cardinalizio rosso per i cardinali. Il cardinale già vescovo ha invece una croce. Il vescovo, un cappello verde. Il governatore, il tocco nero. Il capitano, l’elmo e il nobile, la corona.
Nella parte alta della sala Urbana, così denominata in onore di papa Urbano VII, sono collocati gli stemmi di undici papi che prima erano stati legati pontifici a Bologna. Uno di questi, Baldassarre Cossa eletto papa nel conclave di Bologna del 1410 con il nome di Giovanni XXIII e che convisse con altri due papi – Gregorio XII a Roma e Benedetto XIII ad Avignone – è stato successivamente dichiarato antipapa, portando il numero dei papa legittimi a 10 e lasciando libero l’appellativo di papa Giovanni XXIII.
La sala Urbana oggi fa parte delle Collezioni Comunali d’Arte che si affacciano su Piazza Maggiore dal secondo piano di palazzo d’Accursio; ieri era una sala di rappresentanza dell’appartamento ufficiale del legato pontificio.
Il portale Storia e Memoria di Bologna ha come obiettivo sia l’approfondimento di quanto contenuto nei musei civici sia, soprattutto, l’allargamento della fruizione dei materiali museali a nuovi pubblici che hanno letture ben diverse da quelle degli specialisti. Investire nello sviluppo di applicazioni di Digital Cultural Heritage estende su scala sempre più ampia l’esperienza e la fruizione di contenuti virtuali con la possibilità di completare l’esperienza attraverso la visita fisica al museo.
La Memoria del governo pontificio a Bologna è una delle sei aree che in questi cinque anni hanno popolato il sito Storia e Memoria di Bologna. Le altre aree sono dedicate alla Certosa storica, alla prima Guerra Mondiale, alla lotta di Liberazione 1943-1945, a Bologna nell’Ottocento e alle 529 Lapidi, testimoni spesso silenziosi e usurati dal tempo, che sono disseminate nel paesaggio urbano.
da Roberto Grandi | 8 Mag, 2019 | Cultura, Politica, Vita
Nel mondo la maggioranza delle persone percepisce un incremento della migrazione nel proprio paese. Questo fenomeno è giudicato positivo da molti, ma non da tutti. Il contesto nazionale, l’età, il livello di istruzione e l’ideologia influenzano questo giudizio.
Il Pew Research Center ha intervistato oltre 30.000 persone in 27 paesi che ospitano più della metà dei migranti del mondo.
Il 70% di questa popolazione dichiara che negli ultimi venti anni la diversità indotta dai processi migratori nel proprio paese è effettivamente aumentata. La mediana in Europa è superiore: si colloca all’82%. La più elevata è tra i greci (92%) che in questi ultimi anni sono stati al centro di vari flussi di immigrazione. Anche gli italiani hanno una percezione elevata (81%), non superiore, però, agli svedesi, tedeschi, spagnoli, inglesi, olandesi che si collocano tutti tra l’80% e l’88%. Percentuale analoga tra i paesi non europei: Canada, Corea del Sud, Australia, Indonesia. Polonia (61%) e Ungheria (54%) hanno invece percentuali ben al di sotto della mediana europea.
A chi ha percepito un incremento della diversità interna al proprio paese è stato domandato se lo giudica un fatto positivo o negativo.
Diversamente da come possiamo pensare dal nostro osservatorio italiano, la mediana a livello mondiale dei favorevoli a una maggiore eterogeneità della popolazione interna è 45% contro 23% che la giudica in maniera negativa. Negli Stati Uniti, dove Trump ha imposto alla agenda politica la costruzione di un muro che separi il proprio paese dal Messico, la distinzione tra favorevoli e contrari è ancora più marcata: 61% verso 17%.
Gli Europei sono più ambivalenti. In soli due paesi tra quelli che più percepiscono l’incremento della diversità la percentuale di chi la considera negativamente ( Grecia 62% e Italia 45%) supera quella di chi la considera positivamente (17% e 26%). Negli altri paesi europei in cui i cittadini, come abbiamo visto, hanno una elevata percezione dell’aumento della diversità, simile all’Italia, i pareri positivi superano invece quelli negativi. Olanda, di poco, 36% vs. 41%. Svezia e Germania rispettivamente 30% e 32% contrari contro 56% e 50% a favore. Chi smentisce con più decisione l’esistenza di una correlazione tra alta percezione di incremento di diversità interna e alta percentuale di giudizi negativi sono il Regno Unito e la Spagna con 20% e 23% contrari e ben 62% e 58% favorevoli. Abbiamo visto che in Polonia e Ungheria la percezione dell’incremento della diversità è tra le più basse in Europa (61% e 54%); a questo corrisponde un quasi equilibrio tra contrari (25% e 27%) e favorevoli (28% e 20%).
Al di là della variabile determinata dal contesto di ogni nazione quanto variabili quali l’età, l’ideologia e i livelli di istruzione incidono sulla propensione alla accettazione o al rifiuto di una maggiore diversità nel proprio paese?
In più della metà dei paesi del sondaggio i giovani esprimono giudizi più positivi degli anziani. In Italia, per esempio, la percentuale dei favorevoli decresce passando dai 18-29 anni (44%), 30-49 anni (32%), oltre 50 anni (17%). Il gap tra la percentuale a favore tra i più giovani e i più anziani è superiore a 20 punti percentuali in Italia, Australia, Brasile, Messico, Regno Unito e Giappone.
Un’altra variabile individuata è l’auto collocazione politico-ideologica.
In 11 dei 18 paesi dove questa variabile è stata analizzata, chi si definisce di sinistra è più favorevole all’incremento della diversità interna rispetto a chi si colloca a destra. Tra chi si riconosce nei partiti di estrema destra del proprio paese la distanza maggiore è in Svezia: contrari 73%, favorevoli 24%. Un divario tra il 24% e il 27% in Germania (56% contrari, 29% favorevoli), Olanda (50% vs., 24%), Regno Unito (68% vs. 43%), Francia (52% vs. 28%).
L’altra variabile che incide sulla visione positiva o negativa dell’aumento della diversità interna è il livello di istruzione.
In 19 dei 27 paesi del sondaggio le persone con livelli di istruzione superiore esprimono un parere più positivo rispetto a chi ha una istruzione inferiore. In Europa la sola eccezione è l’Ungheria dove questa variabile non ha alcuna incidenza. La maggiore significatività, sempre in Europa, è stata individuata in
Spagna (a favore della diversità il 50% dei meno istruiti e il 74% dei più istruiti) e in Germania (44% vs. 65%). Una incidenza significativa del livello di istruzione è stata individuata anche in paesi con un basso giudizio positivo sull’incremento della diversità interna. In Grecia la percentuale dei favorevoli tra i meno istruiti è 14% verso 24% favorevoli; in Italia 24% verso 40%; In Polonia 25% vs. 38%.
In conclusione, la maggioranza delle persone è consapevole che i sempre più intensi flussi migratori aumentano la diversità interna al proprio paese. A questa constatazione seguono giudizi positivi o negativi. Questi giudizi sono influenzati dai contesti nazionali, dall’età, dal livello di istruzione e dalla collocazione ideologica. La Grecia e l’Italia sono i due paesi in cui il contesto nazionale incide più profondamente sulla prevalenza dei giudizi negativi rispetto alla influenza delle altre tre variabili.
da Roberto Grandi | 20 Mar, 2019 | Cultura, Vita
La Fabbrica del Futuro si articola in 5 isole tecnologiche. Simulazione, Realtà Virtuale, Additive Manufacturing, Automazione Industriale e Big Data sintetizzano le principali tecnologie abilitanti di Industry 4.0. Grazie al contributo della Associazione Amici del Museo del Patrimonio Industriale questo nuovo laboratorio permanente arricchisce il percorso espositivo del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna.
Questa importante acquisizione risponde alla mission del museo di promuovere e valorizzare la cultura e la formazione tecnica.
Cosa di meglio, infatti, di un laboratorio interattivo e multimediale per documentare le linee di sviluppo che stanno profondamente modificando l’ambiente e l’assetto produttivo e organizzativo delle fabbriche all’avanguardia del territorio bolognese?
Le fabbriche si stanno infatti trasformando grazie a tecnologie digitali, automazione applicata ai processi produttivi, gestione di flussi di informazione sempre più sofisticati e complessi in luoghi aperti, che dialogano costantemente con il mondo esterno per riuscire ad anticipare le necessità produttive delle aziende e proporre soluzioni e innovazioni in continuo aggiornamento. In questo museo si documenta quindi la sfida dell’industria 4.0 che introduce il concetto di smart factory, caratterizzato da alcune caratteristiche. In primo luogo nuove tecnologie produttive che consentono di interconnettere le macchine e gli strumenti, rendendo possibile il monitoraggio e il controllo automatico dell’intero processo per il miglioramento dell’efficienza e la qualità del prodotto. Poi, aggiornate infrastrutture informatiche e tecniche che permettono la raccolta e l’elaborazione dei dati da parte del team di persone che assumono il ruolo di gestori dell’intero processo grazie a un collaborativo lavoro di gruppo. Da ultimo, attenzione ai consumi energetici e consapevolezza ecologica, creando sistemi più performanti.
L’intensa attività formativa del museo coinvolge centinaia di classi, compresi gli istituti tecnici e le scuole medie in cui matura la decisione su quali indirizzi successivi intraprendere. Questa attività formativa, che coinvolge anche le famiglia, si concretizza ora, anche, nel mostrare gli ambienti di lavoro delle fabbriche di oggi e di domani con l’obiettivo di rendere più consapevole una scelta scolastica che spesso penalizza i percorsi tecnici per carenza di informazioni.
In questo museo si mostra, con risultati di grande efficacia, lo stretto legame che c’è stato dal XV secolo ad oggi tra sviluppo tecnologico e ambiente di lavoro.
Scarica il comunicato stampa.
da Roberto Grandi | 14 Mar, 2019 | Cultura, Vita
Negli anni del miracolo economico le donne domandavano non solo di lavorare, ma anche di ottenere un lavoro qualificato. Specialmente in territori come l’ Emilia-Romagna dove tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 la crescita della occupazione femminile è stata elevata e impetuosa e ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo del Made in Italy.
Al Museo del Patrimonio Industriale di Bologna si può vedere, fino al 2 giugno, la mostra fotografica “Formazione professionale, lavoro femminile e industria a Bologna, 1946-1970”. Le fotografie, provenienti da diversi fondi fotografici, documentano il lavoro femminile tra la seconda metà degli anni ’40 e la fine degli anni ’60. Nella parte iniziale le immagini sono disposte attorno a due nuclei tematici. I tradizionali corsi di cucito e sartoria, destinati in particolare a ragazze disoccupate, e la frequenza all’Istituto Tecnico Industriale Femminile, una nuova scuola afferente alla scuola tecnica di Bologna Aldini Valeriani. La seconda parte mostra il lavoro femminile in fabbrica; in ambienti e reparti di aziende storiche bolognesi, come Farmac-Zabban, Weber, Ducati Elettronica e Arco.
I materiali informativi di supporto alla sequenza di fotografie propongono la cornice all’interno della quale dobbiamo oggi interpretare quelle immagini, che rischiano di fare emergere in chi le guarda prevalentemente un senso di nostalgia per questa fase di espansione del lavoro femminile in fabbrica.
Il tema di discussione e azione politica delle associazioni femminili divenne l’istruzione professionale che era appannaggio quasi esclusivo degli uomini. Questo comportava che le donne fossero escluse dalle mansioni più qualificate in un’epoca in cui la legge sulla parità salariale era ancora lontana. Di conseguenza, le associazioni femminili si impegnarono con grande energia a promuovere l’ingresso delle donne in istituti tecnico-industriali, come l’Aldini Valeriani, per offrire nuove opportunità di lavoro qualificato e una formazione non orientata solo ai lavori tradizionalmente identificati come femminili.
I visi di queste donne, i reparti in cui lavoravano, le aule che frequentavano e le mansioni che le tenevano impegnate raccontano una storia iniziata decenni di anni fa e che, nonostante la legge sulla parità salariale, continua ancora oggi.
Immagine copertina: Operaia della Weber di Bologna, 1950. Archivio fotografico U
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Sartoria per disoccupate gestita a Bologna dall’UDI, 1947. Archivio fotografic
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Officina dell’Istituto Tecnico Industriale Femminile di Bologna, 1963-’64. Archivio fotografico Museo del Patrimonio Industr
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Operaia della Weber di Bologna, 1950. Archivio fotografico U
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Operaia della Farmac-Zabban di Bologna, anni ’50. Archivio fotografico Museo del Patrimonio Industriale
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Reparto della Ducati Elettromeccanica di Bologna, 1960-’65. Archivio fotografico Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
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Reparto della Arco di Sasso Marconi, 1965-’70. Archivio fotografico Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna