IL MAMbo va in streaming

IL MAMbo va in streaming

Musei chiusi per emergenza coronavirus? Al MAMbo di Bologna la mostra va in streaming.

Istituzione Bologna Musei: a musei chiusi fino al 1 marzo 2020, a seguito delle misure di contenimento della diffusione del coronavirus, da giovedì a domenica il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna rende visibile in streaming Bonjour, performance ambientale di Ragnar Kjartansson, nell’ambito della mostra AGAINandAGAINandAGAINand.

Bonjour, sarà visibile da giovedì 27 febbraio a domenica 1 marzo sul canale >> YouTube MAMbo channel << giovedì e venerdì dalle h 16.00 alle h 18.00, sabato e domenica dalle h 12.00 alle 14.00 e dalle h 16.00 alle 18.00.

Alle persone che, durante gli orari di streaming, invieranno una mail con oggetto “Bonjour” all’indirizzo istituzionebolognamusei@comune.bologna.it saranno riservati un ingresso ridotto alla mostra AGAINandAGAINandAGAINand a partire dal primo giorno di riapertura e una pin MAMbo in omaggio.

Scarica il >> COMUNICATO STAMPA <<

CHI DI REFERENDUM FERISCE…

CHI DI REFERENDUM FERISCE…

Salvini ha nazionalizzato una competizione elettorale regionale trasformandola in un referendum su di sé. Questa strategia di ribaltamento ha una lunga storia nelle campagne elettorali. Fermiamoci all’Italia negli ultimi venti anni.

Un primo esempio di ‘nazionalizzazione” di una campagna regionale con voto diretto del Presidente si ebbe il 16 aprile 2000. Berlusconi, di nuovo alleato con la Lega, ribaltò il carattere regionale con una campagna incentrata sulla “Scelta di Campo” nazionale contro la Sinistra. D’Alema, Presidente del Consiglio, accettò la sfida, fidandosi dei sondaggi e sperando così di legittimare con un voto la sua Presidenza. Quindici le Regioni al voto, di cui 11 governate dal centrosinistra. D’Alema dichiarò, incautamente, che avrebbe vinto 10 a 5 o addirittura 11 a 4. Questo referendum sui due leader finì 8 a 7 per Berlusconi. Il giorno successivo D’Alema si dimise. Subentrò il governo Amato.

Quattordici anni dopo, il 25 maggio 2014, si tennero le elezioni europee. In questo caso sia il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che Beppe Grillo snaturarono la portata europea di queste elezioni e le trasformarono in un referendum, amplificato dai media, su di loro. Si ipotizzava un testa a testa, invece il Pd di Renzi prevalse con quasi il 41% verso il M5S di Grillo al 21%.

Questa vittoria ha probabilmente indotto Renzi a personalizzare anche il successivo referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. I manuali di comunicazione politica mettono in guardia da ripetere un colpo vincente. Troppe sono le ‘variabili ambientali’ che influiscono sui risultati dei referendum personalizzati. L’esito lo ricordiamo. Renzi ottenne di nuovo il 41%, ma questa volta di fronte aveva il 59% di no. Come D’Alema sedici anni prima, il giorno successivo annunciò le dimissioni da Presidente del Consiglio.

L’ultimo esempio è fresco fresco.

Matteo Salvini, dopo l’incidente di percorso delle dimissioni balneari che non hanno provocato l’auspicata e attesa caduta del governo, è stato costretto a cercare un’altra occasione per dare la spallata a Conte, senza attendere la scadenza elettorale naturale. Le elezioni regionali in Umbria e Calabria non avevano la portata politica sufficiente per fare credere che avrebbero provocato la caduta del governo. L’appuntamento perfetto era il voto in Emilia-Romagna. Le elezioni europee avevano visto l’avanzata della Lega e l’arretramento del Partito Democratico e dei grillini anche in Emilia Romagna, che è così diventata una Regione contendibile. Salvini ha deciso di non seguire il modello vincente di Giorgio Guazzaloca che, venti anni prima, aveva conquistato il comune rosso di Bologna con una proposta di centrodestra a guida civica. La ragione è chiara. Se infatti il candidato presidente del centro destra a questa elezione fosse stato un civico centrista, sarebbe stato impossibile per Salvini nazionalizzare l’elezione trasformandola in un referendum su di sé e, come effetto riflesso, contro il governo. Definire la strategia significa fare una scelta e rimanervi fedele per tutta la campagna. E’ ciò che Salvini ha fatto. Tutto deriva da questa scelta, imposta ad alleati in parte riottosi ma subalterni. Conseguente è stata la scelta di una candidata della Lega, Lucia Borgonzoni, con cui costruire un gioco di squadra in cui ciascuno aveva un ruolo. Mediaticamente preminente quello di Salvini che, forte dei sondaggi, ha fatto due mesi di campagna intensa, on line e off line, per nazionalizzare e personalizzare al massimo le elezioni regionali. Da questo punto di vista Salvini ha avuto successo e tutti i media hanno contribuito a dipingere questa elezione come un referendum su Salvini e sul destino del governo Conte. Questa scelta di Salvini ha indotto il centrosinistra a fare l’unica scelta possibile. Accettare sì la sfida della personalizzazione, accompagnata però a una deideologizzazione e regionalizzazione del voto. Da ciò è conseguita la campagna tutta incentrata su Stefano Bonaccini quale buon amministratore che chiede il voto non a nome dei partiti, ma per quello che aveva fatto e la competenza che aveva messo in campo. Da una parte, la nazionalizzazione della campagna elettorale, dall’altra la sua regionalizzazione. Su questi binari si sono instradate le campagne parallele di Salvini e Bonaccini (con Lucia Borgonzoni meno mediaticamente esposta) che hanno battutto palmo a palmo la regione. Questo modello di campagna elettorale è stato a un certo punto messo alla prova dalla presenza di un terzo attore imprevisto, anche nei manuali. Il movimento della sardine che, dal punto di vista della strategia di Salvini, ha depotenziato

il ruolo centrale di vicinanza al popolo attribuito alle piazze piccole, medie, grandi che riempiva con una regolarità, amplificata anche eccessivamente dai media. On line e off line dominati da Salvini che ogni sera aveva prenotato il suo spazio sui notiziari nazionali. Da un certo momento in avanti, però, le piazze di Salvini sono diventate, anche mediaticamente, le piazze di Salvini e delle sardine. Paradossalmente Salvini ha contribuito a consolidare il ruolo delle sardine come movimento che proponeva un linguaggio e valori contrapposti al suo modo muscoloso di fare campagna elettorale. Salvini non era più il padrone televisivo delle piazze, ma doveva accettare una coabitazione. Ai servizi televisivi dedicati alla presenza di Salvini in strada si accompagnavano servizi sulla presenza delle sardine negli stessi luoghi. A volte più numerose. La strategia di Salvini doveva mantenere una propria coerenza anche perché era tardi per qualsiasi cambiamento. Gli ingranaggi rodati e routinari della campagna permanente salviniana erano stati pensati contro i partiti e i suoi esponenti, non contro un soggetto ibrido e sfuggente come le sardine e un candidato che enfatizzava più tratti civici che partitici. E’ come se grumi di sabbia si fossero inseriti in un ingranaggio rodato che ha cominciato a fare qualche giro a vuoto. Salvini ha quindi deciso di spingere ancora di più, di stressare la macchina della propaganda estremizzandone ulteriormente i contenuti e, soprattutto, le modalità di comunicazione. In politica è noto che a una sollecitazione si hanno sempre delle risposte. Bisogna prevedere con certezza che le risposte positive di adesione e mobilitazione non superino quelle di rifiuto e contrapposizione. Bisogna evitare che le azioni creino degli anticorpi imprevisti. Questo è ciò che accade specialmente nelle elezioni trasformate in un referendum, in cui uno solo vince. Si va a votare a favore di un candidato e si va a votare anche contro un candidato.

L’esito delle urne ci ha detto che Salvini con la sua campagna ha sì mobilitato il proprio elettorato ma ha anche, contemporaneamente, contribuito a mobilitare un elettorato motivato dalla necessità di fermarlo. Bonaccini con la sua campagna ha mobilitato un elettorato più ampio di quello dei partiti che lo hanno appoggiato e ha usufruito anche del voto contro il ‘pericolo salviniano’.

Giovane, interdisciplinare, assolutamente tecnologica

Giovane, interdisciplinare, assolutamente tecnologica

Mentre nella regione i turisti si moltiplicano, in città cresce l’offerta culturale. Ma bisogna investire nella comunicazione, fidelizzare i cittadini e coinvolgere nuovi pubblici.

Roberto Grandi, già docente ordinario di Sociologia della comunicazione all’Università di Bologna ed esperto di comunicazione e mass media, dal 2017 è presidente del Cda dell’Istituzione Bologna Musei e dirige il master internazionale “New Media and Marketing Communication” presso la Bologna Business School.

In passato ha insegnato negli Stati Uniti alla University of Philadelphia, alla Stanford University e alla Brown University, e alla Tonji University a Shanghai. Dal 2000 al 2009 è stato prorettore alle relazioni internazionali all’Alma Mater Studiorum e dal 1996 al 1999 assessore alla Cultura al Comune di Bologna.

Con lui, Il Giornale dell’Arte ha fatto il punto sullo stato artistico e culturale della città di Bologna.

 

Leggi l’intervista completa, pubblicata da IL GIORNALE DELL’ARTE, cliccando QUI!

 

Informazione online a pagamento. Perchè?

Informazione online a pagamento. Perchè?

Si sta passando dalla informazione online gratuita a quella a pagamento. Infatti al declino delle entrate tradizionali, le testate informative rispondono proponendo vari modelli di pagamento della informazione digitale.

Il Reuters Institute ha analizzato l’offerta di informazione digitale di oltre 200 testate informative in sette paesi: Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Italia , Francia, Polonia, Finlandia. (Digital News Report)

I paesi in cui i quotidiani e i settimanali hanno adottato di più i modelli a pagamento sono Finlandia, Francia, Germania, Polonia e Stati Uniti. Al contrario, in Gran Bretagna e Italia la maggioranza dei quotidiani e dei settimanali continua a offrire libero accesso alla propria informazione online. A parere dei ricercatori in questi due paesi i mercati della informazione sono molto competitivi, tanto che anche le testate più importanti temono che il passaggio al pagamento causi una perdita di lettori.

Considerando l’insieme delle testate il 69% dei quotidiani propone forme di pagamento, contro il 57% dei settimanali e delle riviste.

Interessante è vedere quali modelli di pagamento vengono adottati nei sette paesi analizzati.

Tra i quotidiani il 31% rimane totalmente gratuito. Il 33% adotta il modello di pagamento freemium, ossia una offerta informativa di base gratuita, che prevede un pagamento se si vuole una informazione di maggiore qualità e approfondimento. Un altro 33% adotta il modello metered paywalls, ossia viene offerta la lettura gratuita di un numero ristretto di articoli (una decina al mese) e il passaggio all’abbonamento se si vuole fruire dell’intera informazione della testata. Questi due modelli si propongono di mantenere tutti i lettori con l’offerta base o un ristretto numero di articoli gratuiti e di incrementare il numero di lettori più esigenti disposti a pagare con una offerta premium o facendoli accedere all’intera offerta. Solo il 3% dei quotidiani ha, invece, adottato il modello hard paywall, ossia l’abbonamento per accedere a qualsiasi tipo di informazione digitale.

Per quanto riguarda i settimanali e le riviste: 43% gratuità, 38% freemium, 14% metered paywalls, 5% solo abbonamento.

Il prezzo medio dell’offerta online dei quotidiani, settimanali e riviste a pagamento è attorno a 15 euro mensili nel modello metered (dagli 11 degli Usa ai 20 della Germania, con l’Italia a 18,62 euro). Il modello freemium è meno caro: in media 12 euro, dagli 8 del Regno Unito ai 14 della Francia con l’Italia a 11,66 euro. I costi nel modello hard paywalls variano molto: dagli 8 euro in Polonia ai 36 in Gran Bretagna.

Da un punto di vista generale negli Stati Uniti l’informazione online a pagamento è passata dal 38% del 2017 al 48%. Questo incremento è dovuto esclusivamente ai quotidiani che oggi raggiungono una percentuale di informazione a pagamento del 76%. Nello stesso intervallo di anni, la percentuale delle testate europee a pagamento è rimasta praticamente la stessa, dal 45 al 46%. Oggi quindi non vi è differenza tra Europa e Stati Uniti.

Si possono trarre alcune conclusioni sul futuro dell’informazione.

1. Il passaggio dalla informazione digitale gratuita a quella a pagamento è irreversibile, anche se graduale e utilizzando modelli diversi. E’ infatti una delle poche leve che l’industria della informazione ha per fronteggiare la crisi economica. L’altra leva, la pubblicità digitale, è in aumento ma non ancora sufficiente alle necessità.

2. La quasi totalità (94%) delle testate informative nate digitali continua a fornire informazione gratuita. Fino a quando questo modello riuscirà a reggere? Soprattutto è compatibile con una informazione digitale sempre più di qualità, quindi sempre più costosa?

3. I rischi che nel digitale si riproponga, come per l’informazione stampata, la distinzione tra chi si può permettere l’accesso a informazione di qualità e chi si deve accontentare di informazioni più di base è per ora basso. Appare però ovvio che il decremento della informazione gratuita non porterà a quella democratizzazione della informazione online auspicata da molti. Anche se la distinzione tra lettori più esigenti, lettori che si accontentano dell’informazione di base e non lettori non dipende unicamente dai costi dell’informazione ma anche da variabili culturali e sociali.

4. La sfida che le testate informative dovranno affrontare è organizzarsi per offrire una informazione di maggiore qualità sia di contenuti sia di servizi e interazioni con i lettori. Solo attraverso una offerta così arricchita sarà possibile indurre lettori che considerano i contenuti digitali “naturalmente” gratuiti a pagare per informarsi.

I nuovi trend social 2019

I nuovi trend social 2019

Tutto quello che dovete sapere su internet, mobile-users, social media e e-commerce.

Grazie al report di Hootsuite – basato sui risultati di un sondaggio condotto presso un campione di oltre 3.000 clienti, interviste ad analisti del settore e approfondite ricerche di mercato – avrete una visione dettagliata sui trend dei social media nel 2019.

 

 

ZELENSKY: NIENTE PROMESSE NIENTE DELUSIONI

ZELENSKY: NIENTE PROMESSE NIENTE DELUSIONI

Il Presidente per caso di una serie televisiva batte il miliardario re del cioccolato e proprietario di Canale 5. Volodimir Zelensky è il nuovo Presidente della Repubblica Ucraina con il 73% dei voti contro il 24% all’attuale Presidente, Petro Poroshenko.

Al di là delle semplificazioni e delle facili battute su un comico che diventa Presidente quasi per caso, replicando in tre mesi l’ascesa analoga nella serie televisiva, queste elezioni insegnano molto sulle campagne elettorali definite post-moderne o post-democratiche.

Primo, il contesto. I sondaggi mostravano da tempo che solo il 9% della popolazione aveva fiducia nel governo e che l’avversione ai politici e al sistema politico era generalizzata.

Come in altri casi – ricordiamo la discesa in campo di Berlusconi 25 anni fa – gli elettori erano pronti a dare fiducia a chi veniva percepito come nuovo, rispetto alla vecchia politica.

Zelensky è al terzo anno della serie televisiva satirica di successo, Servo del Popolo, oggi anche su Netflix. Un insegnante di storia, interpretato da Zelensky, diventa Presidente in seguito al successo virale sui social media di una sua invettiva esplosiva contro la corruzione dei politici. A questo link un trailer della serie.

Significativo il post di tre settimane fa di My Tara, in cui il commento positivo si divide tra l’apprezzamento per la serie e quello per il presente e il futuro dell’interprete: The actual film is much better and clever than this compilation. And Ze is not only a good actor. He’s a successful business man, a true patriot and represents a new generation. Hopefully, he will have balls to fight corruption! And would start from building the roads around the country!

Avvicinandosi le elezioni, Zelensky fonda il partito Servo del Popolo, dal titolo della serie televisiva, e a Capodanno annuncia la sua candidatura. I sondaggi mostravano che gli elettori cercavano qualcuno nuovo, fuori dai giochi della politica che fosse disposto a metterci una faccia credibile. Ecco perché Zelinsky ha portato avanti una campagna elettorale anticonvenzionale con l’obiettivo strategico di essere percepito come nuovo e credibile. La brevità della campagna era un vantaggio, perché giustificava la mancanza di un programma completo ed elaborato.

Zelisnsky si è mosso online e offline tenendo fede allo slogan: “Niente Promesse, Niente Delusioni”.

Con l’aiuto di giovani volontari ha gestito la campagna elettorale attraverso un flusso costante di post, soprattutto brevi video, su Facebook, You Tube e Instagram (dove ha oltre 4 milioni di follower contro i 250.000 di Poroshenko). L’obiettivo era costruire una immagine positiva. Lo si vede allenarsi in palestra, scherzare con gli amici e mentre viene aggiornato da un team di consulenti che, si dice, lo seguiranno una volta diventato Presidente. La mancanza di esperienza è infatti l’accusa che tutti gli avversari gli muovono, non rendendosi conto che per molti elettori è proprio questa assenza la garanzia del suo essere effettivamente nuovo e fuori dai circoli della politica. Ha anche richiesto on line agli elettori di inviare idee per il programma elettorale.

Off line ha scelto una campagna che accentuava ancora di più la sua distanza dalla politica tradizionale. Rarissime conferenze stampa, pochissime interviste, sempre attento a non prendere impegni politici specifici, niente comizi. Ha scelto di girare il paese con uno spettacolo, insieme al suo gruppo teatrale “Kvartal 95”.

Al contrario del suo avversario Poroshenko, capo del partito Solidarietà, in politica e negli affari dagli anni ’90, che ha negli ultimi tempi abbracciato una posizione ultranazionalista contro la Russia di Putin, fino all’appoggio entusiasta alla proclamazione della indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina da quella moscovita. Poroshenko ha tenuto comizi tradizionali, si è appoggiato alla rete degli amministratori locali e è stato una presenza costante negli studi televisivi, da cui Zelensky si è tenuto lontano.

Zelensky ha accettato di fare un solo dibattito con Poroshenko, a due giorni dal voto, imponendo come luogo lo stadio olimpico di Kiev.

La percezione degli ucraini al termine della campagna elettorale è stata quella di una contrapposizione tra vecchio e nuovo. Tra ciò che già conoscevano e che rifiutavano e l’incognita di chi non prometteva per non deludere.

Poco hanno contato i legami con il chiacchierato oligarca Ihor Kolomojskij, autoesiliatosi a Tel Aviv, proprietario della rete televisiva “1+1” che mette in onda la serie Servo al Popolo. La rete ha parteggiato esplicitamente per Zelensky presidente, soprattutto all’avvicinarsi del voto.

Questa campagna elettorale ha mostrato tratti comuni a molte campagne recenti, in cui la scelta è stata guidata più dalla stanchezza, dalla nausea e dal rifiuto della politica tradizionale (spesso fatta coincidere con la democrazia rappresentativa) che non dalla adesione a chiari e credibili progetti elettorali. In questa situazione la comunicazione politica utilizza tutti i media (dai social ai tradizionali) e le occasioni off line per costruire l’immagine di candidati che vengano percepiti come nuovi e non-politici. E’ un processo che spesso ha vita breve, perché chi oggi è nuovo il prossimo giro è già considerato vecchio. D’altra parte, tornando all’Ucraina, la Rivoluzione Arancione che aveva mobilitato le speranze di tanta parte della popolazione per un cambiamento radicale era stata, almeno in parte, costruita utilizzando tecniche proprie del marketing politico che non hanno garantito la soddisfazione delle speranze che avevano suscitato.