IL MUSEO CHE NON TI ASPETTI

IL MUSEO CHE NON TI ASPETTI

Mozart sbagliava i compiti? Questa tastiera perfetta è insuonabile? Dove tenete il primo libro di musica a stampa? Queste alcune delle domande fatte a “Musica da vedere”, una serie di visite in cui gli esperti sono a disposizione dei visitatori. A domanda, rispondono. Accade al Museo Internazionale e biblioteca della musica di Bologna all’interno della rassegna “#wunderkammer, il museo delle meraviglie”.

Come ho scritto più volte oggi un museo non è solo un luogo di esposizione di oggetti ma un intreccio di storie e un hub culturale. #Wunderkammer si propone, e non è un caso, di valorizzare il complesso patrimonio costituito dalle raccolte permanenti di beni musicali, librari e artistici del museo, incentivandone in maniera sorprendente la conoscenza presso un ampio pubblico. Un unico contenitore in cui si integrano esperienze diversificate: concerti, narrazioni musicali, visite guidate.

La nuova edizione, in programma dal 15 febbraio al 21 giugno 2020, si compone di un ricco palinsesto di 33 appuntamenti articolati in quattro distinte sezioni tematiche.

“Com’è fatto? la musica vista da dentro”. Questa sezione approfondisce la storia degli strumenti musicali, il perché dei materiali usati e delle forme modellate da secoli di tecniche, stili, sapienza e segreti artigianali. Cosa di meglio che chiederlo ai costruttori di oggi che accompagneranno i visitatori in un viaggio (letteralmente) “dentro“ la musica alla scoperta delle straordinarie proprietà acustiche del legno e della storia degli strumenti ad arco, dei segreti nella costruzione del cornetto, per finire con l’organo ad ala, costruito dal maestro organaro Nicola Ferroni, che sarà “ospite” del museo e protagonista in diversi concerti della rassegna.

Segue “#wk narrazioni musicali. Scoperta dei segreti della collezione del Museo della Musica”. Incontri per ri-creare il volto delle collezioni raccontando le storie di uno strumento musicale, di un dipinto, di uno spartito. Così, la ri-creazione delle collezioni museali è al tempo stesso ricreazione della mente di chi partecipa e ricreazione di una memoria dimenticata del passato che ci appartiene. E proposte editoriali originali su Bach, Verdi e Mascagni.

La terza sezione,” Insolita la musica che non ti aspetti” è la rassegna di concerti in cui i tesori musicali del museo e della biblioteca tornano a (ri)suonare. Infatti, tutti i programmi di concerto vengono selezionati in quanto legati a un manoscritto, un’edizione a stampa, una lettera, un dipinto appartenenti alle collezioni del museo. E Insolita sarà anche l’occasione per vederli “da molto vicino”: gli esperti del museo mostreranno, di volta in volta, uno dei pezzi unici della collezione legato al programma del concerto che seguirà. Tra gli insoliti mi piace ricordare il concerto di Sensus, Ut Musica Pictura, sugli strumenti ricostruiti a partire da quelli dipinti da Raffaello Sanzio, e la tappa bolognese della violinista tedesca Franziska Strohmayr, Bach… nach Ron, nel suo viaggio in bicicletta da Augusta, in Germania, fino a Roma.

“Variazioni le visite che non ti aspetti” propone, come detto, un esperto del museo a disposizione del pubblico per rispondere a tutte le domande sul museo che attraversano sei secoli di storia della musica. Poi visite sonate e un laboratorio di danza dove i partecipanti potranno ricreare l’atmosfera e le coreografie originali di una danza d’epoca per poi esibirsi in una visita danzata nelle sale alla scoperta della collezione degli antichi trattati di danza esposti in museo.

E’ questo intreccio di proposte insolite, inaspettate e sorprendenti che apre le porte alla meraviglia di pubblici diversi, sia quelli già fidelizzati, sia pubblici nuovi.

ANIMA E ANGELO – LOS ANGELES BOLOGNA

ANIMA E ANGELO – LOS ANGELES BOLOGNA

“Raga, ma almeno veniteci a Bologna”. Questo è uno dei commenti al post pubblicato quattro giorni fa su Instagram dalla band emo-core più conosciuta e amata, i My Chemical Romance. I cuoricini a questo post che svelava un piccolo mistero hanno raggiunto quota 225.000 e migliaia sono i commenti.

Ma andiamo con ordine.

Lo scorso 31 ottobre i My Chemical Romance hanno annunciato la decisione di riformarsi, dopo lo scioglimento avvenuto nel 2013, con un post pubblicato sui social media. Ad accompagnare la didascalia “Like Phantoms Forever” – citazione del titolo di un loro EP pubblicato nel 2002 – una misteriosa immagine in bianco nero, priva di credito fotografico. Fa da sfondo alla parola RETURN e alle coordinate del primo concerto del 20 dicembre a Los Angeles. Compare in primo piano il dettaglio di una scultura con i volti di due creature con gli occhi chiusi, di cui una alata, unite in un abbraccio. La clamorosa notizia della Reunion della band è stata accolta con incredibile entusiasmo da parte dei fans di tutto il mondo, visualizzando nel giro di poche ore centinaia di migliaia di reazioni con un sold out del concerto in meno di 4 minuti dalla apertura della prevendita. La notizia è stata amplificata online da testate internazionali specializzate e non, da Billboard a Rolling Stone, da CNN a BBC, The Guardian.

L’immagine in bianco e nero è così rimbalzata al di qua e al di là dell’oceano.

Tra i commenti pubblicati quello del fotografo bolognese Mauro Squiz Daviddi, che ha riconosciuto quella sensuale immagine come un particolare del monumento funerario che adorna la Cella Magnani collocata nel Cimitero Monumentale della Certosa di Bologna. Fondato nel 1801 riutilizzando le strutture del convento certosino del 1334 conserva un vastissimo patrimonio di pitture e soprattutto sculture realizzate da importanti artisti del XIX e XX secolo.

Sorpreso e incuriosito dalla presenza di questa immagine della Certosa (gestita da Bologna Servizi Cimiteriali e la cui valorizzazione culturale è affidata alla Istituzione Bologna Musei, di cui sono presidente) ho scritto al management della band chiedendo di pubblicare un post in cui si raccontasse dove la statua si trova e i crediti dello scultore e del fotografo. Ho poi anche invitato i My Chemical Romance a venire in tour per vedere dal vivo la scultura in bronzo DEL 1906 di Pasquale Rizzoli che rappresenta una ascesa di Anima e Angelo che si elevano al cielo staccandosi dalla materia.

Contemporaneamente si stava dipanando, in parallelo, un’altra una storia che molto dice su come la comunicazione digitale incide sui processi decisionali della industria culturale. Un fotografo napoletano, Luigi Boccardo, ha pubblicato cinque mesi fa sulla piattaforma Unsplash (fonte digitale di immagini utilizzabili gratuitamente) cinque foto sotto il titolo Certosa di Bologna – Phoenician statues. Il management dei My Chemical Romance alla ricerca di una immagine per il manifesto del tour mondiale del Return della band ha scelto una delle cinque immagini di Luigi Boccardo, con cui è entrato in contatto.

Su sollecitazioni parallele mia e di Boccardo è stato quindi pubblicato il post che fornisce le informazioni sulla statua e i crediti.

Nessuno sa se questa reunion durerà e se sbarcherà in Europa. L’Italia e Bologna non sono nelle intenzioni originali della band, ma li ricontatteremo facendoci forti dei commenti al post che sono molto significativi.

Una prima tipologizzazione delle migliaia di commenti può comprendere almeno sei categorie.

Chi ha reagito orgoglioso di essere italiano. “Ma che bello essere italiani per una volta”. “Stranamente proud di essere italiano”. “L’Italia comanda”. Centinaia sono i commenti-invito a venire a Bologna e in Italia. Gli “ Ok, come to Bologna” e “Vi aspettiamo a Bologna” si inanellano nel post. A una terza categoria appartengono quelli che vogliono sì averli a Bologna ma che sanno che devono rafforzare l’invito fingendo di considerarlo implicito nella scelta della statua bolognese o promettendo scherzosamente un dono. “Ora che avete nominato Bologna la tappa in Italia è obbligatoria”. “If you talk about places and italian artists you absolutely have to come here in Italy”. “Anvedi questi, fate un concerto in Italia e ve porto a casa un sacco di statue :)))”. “Ok, for repaying come to Italy”. “Quindi ci vediamo nel 2020 in Italy amici. Ho capito”. Vi sono poi coloro che adottano un accorgimento retorico più raffinato: svelano pubblicamente che

tanto non verranno in Italia, sperando ovviamente di essere smentiti dalla band. “Sì, sì, Luigi, Bologna, Museo e compagnia, ma una data vi costa troppo, brutti stronzetti emo depressi?!?!” “Usano le sculture ma non vengono in Italia”. “Sì ma amori miei parlate di Italia ma non ci venite”. Vi sono poi quelli che entrano nel merito della scelta della statua. “The statue also represents life after death”. Una ultima categoria sono i fan che usano l’ironia per sottolineare il sentimento di vicinanza alla band. “Ma solo io mi immagino gee che dice ‘Museo Civico Risorgimento’?”.

Questo cortocircuito digitale ci conferma, in primo luogo, che ogni opera contiene in sé tante storie che attendono di essere interpretate e raccontate e sono fonti feconde e preziose di suggestioni e ispirazioni che, come nel caso della Certosa di Bologna, i visitatori apprezzano e gli artisti considerano e utilizzano. In secondo luogo che, grazie alla rete, la ricerca della sintonia e della pertinenza tra il linguaggio musicale e quello visivo non ha confini di spazio e di tempo. Si è creato così un dialogismo intertestuale tra la Shrine Expo Hall di Los Angeles, sede del primo concerto, e la Certosa di Bologna.

 

My Chemical Romance

Anni Ottanta. Sperimentatori Geniali

Anni Ottanta. Sperimentatori Geniali

Anni Ottanta. Sotto la Milano da bere…la Bologna creativa. Milano da bere, edonismo, paninari, disimpegno, moda e pubblicità, televisione commerciale. Questi alcuni luoghi comuni legati a quel decennio, che è diventato anche esso un luogo comune della nostra storia. Se invece si gratta la superficie con una mano guidata da intelligenza, sensibilità, voglia di approfondire emerge ben altro. Una scena artistica che non aveva nulla da invidiare a quanto accadeva a Londra, Berlino, New York. Tutto ciò avveniva non a Milano, ma a Bologna. Forse per questo non è entrato nell’immaginario collettivo. Lorenza Pignatti, studiosa attenta e intellettualmente curiosa, ha curato con l’Art direction di Jumbo Manfredini la mostra “Dilettanti Geniali. Sperimentazioni artistiche degli anni Ottanta” al Padiglione dell’Esprit Nouveau a Bologna. “I materiali di questa esposizione – scrive Pignatti – compongono un atlante ecclettico, che mostra quanto artisti, intellettuali, designer e musicisti siano stati in grado in quel periodo di delineare, dalle rovine e dal fallimento delle ideologie dei decenni precedenti, nuove istanze culturali e di suggerire l’anticipazione del tempo presente. La carica esplosiva e corrosiva di quel decennio non ha perduto la capacità di seduzione, tutt’altro.” Bando alla nostalgia! Pignatti riprende da Mark Fisher la categoria hauntology per indicare “la permanenza nel presente di istanze passate che sono fonte di interesse e indagine per le generazioni più giovani”.

Questa mostra, il cui allestimento minimalista dialoga in sintonia con gli spazi e la struttura preziosa dell’Esprit Nouveau – fedele, in ogni dettaglio, all’edificio ideato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l’Esposizione universale di Parigi del 1925 – si sviluppa attraverso una affascinante struttura narrativa. E’ una cartografia fedele della cultura visuale di quegli anni, attraverso una selezione di materiali d’archivio, poster, riviste, vinili, dipinti, disegni e documenti riguardanti la musica, l’arte, il design, il fumetto. Situazioni caratterizzate dal medesimo desiderio di allontanarsi dall’ortodossia modernista dei decenni precedenti, in cui si delinea il passaggio dalla controcultura alla cybercultura, dall’underground al mainstream, e in cui s’inventano nuove professioni e nuovi stili di vita.

In primo luogo alcuni dei protagonisti di quegli anni a partire dalla critica e ricercatrice al DAMS di Bologna Francesca Alinovi, affascinata dalla vibrante cultura urbana di New York e dagli interventi dei primi graffitisti che riportava con passione e intelligenza nel contesto artistico italiano.

Successivamente i Giovanotti Mondani Meccanici, i CCCP Fedeli alla linea, Pier Vittorio Tondelli, il Movimento Bolidista, il gruppo Valvoline, Massimo Osti e la fucina creativa di WP Lavori in corso. In quegli anni tanti infatti erano gli artisti e i musicisti internazionali presenti a Bologna grazie alla sua vivace scena artistica e musicale. Uno spazio significativo e identitario fu la Traumfabrik – casa occupata frequentata da musicisti, artisti e creativi – dove si formò il gruppo di ricerca video Grabinsky e che vedeva la frequentazione, tra gli altri, dei Gaznevada, Stupid Set, Andrea Pazienza, Filippo Scozzari, Stefano Tamburini.

Dei Giovanotti Mondani Meccanici si ricordano le performance multimediali e il primo fumetto realizzato a computer, pubblicato sulla rivista “Frigidaire” nel 1984.

Dei CCCP Fedeli alla linea sono esposte le sorprendenti fotografie scattate da Luigi Ghirri, tra i più grandi fotografi italiani.

La centralità del Dams come coagulatore della creatività bolognese è documentata dalla frequentazione, come studenti, di Andrea Pazienza, Lindo Ferretti e il grande scrittore Pier Vittorio Tondelli tra i primi a contaminare il racconto autobiografico con la forma saggistica e del reportage giornalistico, in grado di unire il mondo del clubbing con l’analisi sociologica, nella migliore tradizione anglosassone dei Cultural Studies. Dello scrittore sono presentate le prime edizioni di Altri libertini e di Un weekend postmoderno e un testo inedito per una collaborazione con i Giovanotti Mondani Meccanici. Un gruppo di 16 neolaureati, in questo caso della Facoltà di Architettura di Firenze, tra cui Massimo Iosa Ghini e Maurizio Corrado, teorizzò e fondò a Palazzo Re Enzo, a Bologna, il 12 luglio 1986 il Movimento Bolidista, che considera la Storia non magistra vitae bensì un’ eccitante avventura. Il gruppo disegnava oggetti di design basati su suggestioni formali derivate dallo streamline americano e dall’architettura degli anni Trenta riproposta in chiave postmoderna, dove il dinamismo della civiltà delle macchine era sostituito dalla fase “elettronica”.

Il percorso espositivo si interseca con l’attività del gruppo Valvoline – composto da Lorenzo Mattotti, Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort, Marcello Jori, Jerry Kramsky, Massimo Mattioli e Charles Burns – che a Bologna nel 1983 portò il disegno a linguaggio che crea cortocircuiti con la pittura e il fumetto. Le storie a fumetti sono documentate sulle pagine di “Alter Alter”, “Frigidaire”, “Metal Hurlant”, “L’Eternauta”.

Un ultimo aspetto interessante è il ruolo giocato da alcune imprese e imprenditori nella costruzione di questa Bologna creativa. Massimo Osti contamina il mondo della grafica e dell’arte con quello della moda. Utilizza T-shirt come se fossero supporti per disegni e serigrafie, con il brand Chester Perry, omaggio evidente alla striscia a fumetti. Collabora con Andrea Pazienza nella ideazione di tute da lavoro per la Volvo. Trasforma il marchio Chester Perry in C.P. Company. Un marchio di una moda diversa caratterizzata da un know-how speciale, legato a processi di stampa e tintura innovativi, a invenzioni sui materiali e sugli elementi strutturali. Massimo Osti ha reinventato i codici stilistici nel mondo moda riformulati nell’invenzione dello sportswear e dell’urbanwear. Oggi parte del suo archivio è ospitato nel China Design Museum di Zhejiang Giuseppe Calori e la figlia Cristina fondano nel 1982 W.P. Lavori in corso che inizia la sua avventura nel mondo della moda importando in Italia marchi creativi e da noi sconosciuti come Avirex, Paraboot, Vans. Nella mostra sono proposti alcuni cataloghi realizzati da A.G.O, i quadri di Marcello Jori e Massimo Iosa Ghini per WP e la pubblicazione WP Storie. Dieci anni fuori moda, nella quale ho raccontato i primi dieci anni di questa avventura imprenditoriale, comunicativa e di ricerca.

Una mostra da visitare, soprattutto da parte dei giovani che possono leggere nelle sperimentazioni di quegli anni la capacità, che deve essere di tanti anche oggi, di sperimentare in maniera creativa i linguaggi espressivi.

 

UN VIDEOGIOCO PER ESPLORARE I MUSEI

UN VIDEOGIOCO PER ESPLORARE I MUSEI

Creare la propria wunderkammer/Camera delle Meraviglie collezionando gli oggetti del Museo Civico Medievale e del Museo di Palazzo Poggi di Bologna. E’ una impresa resa oggi possibile grazie a WunderBo un videogioco che trasforma la conoscenza in una esplorazione virtuale che attraverso una serie di indizi permette di comporre la propria collezione con gli oggetti esposti in questi due musei. Può essere un bell’esemplare di giovane coccodrillo del Nilo del XVII secolo oppure una daga di lusso del XV secolo, finemente lavorata con iscrizioni e scene allegoriche. Magari un misterioso dente di Narvalo, che nel 1500 si pensava fosse o lavorato ad arte da qualche abile artigiano o il favoloso corno di unicorno. Oppure la Chimera, un pesce la cui forma complessa rimanda al mostro mitologico con grossa testa di leone, coda di serpente e sulla schiena una testa di capra sorretta da un lungo collo. O forse una kilj o gadara, scimitarra ottomana corta e massiccia del XVII secolo. E poi un calendario runico del XVI secolo, una armatura da giostra del XVI secolo, le tombe dei professori dell’università di Bologna del XIV secolo, il seme più grande del mondo, il Coco de Mer. E molto altro ancora. Tutti oggetti che devono essere cercati, recuperati e collezionati online se voglio acquisire punti e progredire nel videogioco.

Le guide di questo viaggio di scoperta sono le animazioni di tre celebri personalità bolognesi del tempo. Il naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-1605), che ha lasciato alla città di Bologna un museo di 18.000 oggetti naturali, 7.000 piante essiccate, tavolette di legno intagliato per l’illustrazione dei volumi a stampa. Il collezionista Ferdinando Cospi (1606-1686) che costruì una Camera delle Meraviglie con elementi del mondo naturale, reperti archeologici, armi e altri oggetti artificiali bizzarri e capaci di destare nel visitatore un grande stupore. Il generale e stratega militare Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) che fondò l’Istituto delle Scienze, dove gli oggetti erano raccolti non più per sorprendere il visitatore ma per essere classificati con un criterio scientifico.

Durante l’esperienza di gioco, i giocatori entrano in contatto con questi tre personaggi che danno istruzioni su come ricomporre gli indizi disseminati all’interno della storia e raccogliere così il tesoro.

Per completare la raccolta di mirabilia il giocatore dovrà uscire dall’online e visitare fisicamente i musei per scoprire dal vivo alcuni pezzi-chiave delle collezioni. Potrà così sbloccare con la realtà aumentata i contenuti mancanti, guadagnare altri punti e portare finalmente a termine il gioco.

I primi 100 giocatori che termineranno con successo il gioco, compreso lo sblocco dei reperti all’interno dei musei, si aggiudicheranno in premio la Card Musei Metropolitani Bologna che dà diritto per un anno ad ingressi gratuiti o ridotti a musei, mostre, teatri, cinema e festival.

Attraverso i social si potranno poi condividere i propri progressi, partecipando in prima persona alla diffusione della conoscenza della città e dei suoi tesori: tramite Facebook sarà infatti possibile una condivisione di ulteriori approfondimenti sui reperti sbloccati. Ogni oggetto raccolto porta con sé la propria storia e nel loro insieme una parte della storia del territorio.

Questa iniziativa si colloca all’interno di quei progetti che un numero sempre più elevato di musei pongono in atto per coinvolgere nuovi pubblici, soprattutto quelli più giovani.

Oggi l’industria dei videogiochi è la prima forma di intrattenimento grazie a come vengono ideati e disegnati con l’obiettivo, riuscito, di raggiungere elevati livelli di engagement di vario tipo. Anche i processi formativi utilizzano sempre più il linguaggio dei videogiochi, la cui pratica è di per sé già un esercizio di apprendimento, a volte piuttosto complesso.

La gamificazione è solo una delle pratiche con le quali i musei, applicando anche le tecnologie digitali e i social media, si propongono non solo come spazi culturali di conservazione e promozione, ma anche come luoghi di produzione di cultura nuova.

Il progetto di Bologna si è sviluppato attraverso un bando di gara promosso da Incredibol vinto dallo studio Melazeta e finanziato all’interno del Progetto europeo Rock (Regeneration and Optimisation of Cultural heritage in creative and Knowledge cities).

COS’E’ UN MUSEO?

COS’E’ UN MUSEO?

Che cos’è un museo? A molti può sembrare una domanda retorica o addirittura inutile. I musei, infatti, sono quegli spazi che frequentiamo, in maniera più o meno assidua, che esistono ovunque con funzioni che ci paiono più o meno simili. Inoltre, chi opera in un museo sicuramente ha la risposta a questa domanda. Perché quindi riproporla ora? Perché le società in cui i musei si sono sviluppati sono in continua evoluzione e chiedono alle istituzioni museali non solo di confrontarsi con questa evoluzione, ma di essere attori attivi di tale evoluzione. A nuove domande sociali le istituzioni culturali, musei compresi, non possono rispondere trincerandosi dietro alle risposte che hanno fornito fino ad oggi.

Di questi temi si sta parlando in questi giorni alla Conferenza Generale Icom che si tiene a Kyoto con il titolo “I musei come hub culturali: il futuro della tradizione”.

Icom (International Council of Museums) è stato creata nel 1946 come organizzazione di musei e di professionisti museali con l’obiettivo di promuovere e proteggere l’eredità naturale e culturale, attuale e futura, sia tangibile che intangibile. Attualmente i membri sono oltre 44.000 in rappresentanza di 138 paesi.

Ragionare sui musei intesi quali hub culturali significa, a mio avviso, pensare, in primo luogo, a tutte le possibili interazioni tra musei e società in una logica di accountability. Ossia di responsabilità sociale. Sempre più istituzioni educative e culturali si pongono in questa logica. A questo proposito ritengo utile ricordare che fino a non tanti anni fa la mission delle università faceva riferimento unicamente alla ricerca e alla formazione. Oggi si parla, invece, di una terza mission da affiancare alle due precedenti: la diffusione aperta della conoscenza nella interazione con il territorio. Le università devono infatti essere centri di formazione e studio non autoreferenziali e chiusi nella loro “torre d’avorio”, ma consapevoli che il servizio alla società fa parte dei propri doveri.

Questo tipo di responsabilità sociale deve essere condiviso nei fatti da tutte le istituzioni culturali, musei compresi, al di là e direi prima della loro specificità.

E’ importante, in particolare per istituzioni che hanno a che fare anche con la conservazione della memoria, avere lo sguardo orientato all’oggi e, soprattutto, al domani per individuare il ruolo che i musei possono giocare nella costruzione di un futuro culturalmente e socialmente sostenibile e rispettoso dei diritti umani. E’ un processo simile a ciò che è avvenuto all’interno delle università. A un primo momento in cui la terza missione era percepita come un rischio per la autonomia della ricerca e della formazione è subentrata la consapevolezza che questa assunzione di responsabilità sociale valorizzava invece ulteriormente l’autonomia. D’altra parte i musei sono nella posizione migliore per proporsi come ponti tra le memorie del passato che “acquisiscono, conservano, ricercano, espongono, comunicano” e il futuro come orizzonte di questa attività, appunto il futuro della tradizione.

Uno dei punti della Assemblea Generale Icom di Kyoto è l’approvazione di una nuova definizione di Museo adeguata ai nostri tempi che sostituisca quella precedente, approvata nel 2007.

“Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”.

Per superare questa definizione Icom ha dato luogo a una consultazione aperta agli iscritti (sia singoli che organizzazioni interne) che ha portato a circa 280 proposte di definizione. Passare in rassegna tali definizioni è un utile esercizio per capire l’orizzonte ampio e diversificato del modo in cui i professionisti museali pensano il proprio ruolo e le proprie funzioni.

La proposta di definizione che dovrebbe essere messa ai voti dalla Assemblea generale di Icom è stata presentata dalla curatrice danese Jette Sandhal, presidente del Comitato permanente per la definizione, le prospettive e i potenziali del museo

Questa la definizione proposta:

“I musei sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, conservano reperti ed esemplari in custodia per la società, salvaguardano ricordi diversi per le generazioni future e garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone. I musei non sono a scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in partnership attiva con e per le diverse comunità al fine di raccogliere, preservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con l’obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario”.

Una parte dei comitati Icom non accetta questa definizione e domanderà la moratoria di un anno per giungere a una definizione più condivisa.

Questi comitati di opposizione, tra cui Icom Italia, hanno sollevato verso la definizione proposta molte critiche. La giudicano ideologica, più uno slogan o un manifesto, magari bello e intrigante, che non fa però distinzione tra museo, biblioteca, centri culturali, laboratori. Si sostiene che appiattisca tutto anche dal punto di vista dei contenuti, tanto che verrebbe meno il riconoscimento delle professionalità necessarie per portare avanti il museo. Non si farebbe riferimento esplicito alle collezioni e si ritiene, in sostanza, che la definizione proposta non risponda nella forma ai criteri minimi di una definizione che, nell’individuare il complesso degli elementi volti a caratterizzare e circoscrivere un’entità sul piano concettuale, dovrebbe essere chiara, breve e applicabile in tutti i contesti culturali e normativi interessati.

Al fuoco incrociato di queste critiche, alcune condivisibili altre meno, fanno da contraltare altre definizioni, tra cui quella proposta da Icom Italia:

“Il Museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, accessibile, che opera in un sistema di relazioni al servizio della società e del suo sviluppo sostenibile. Effettua ricerche sulle testimonianze dell’umanità e dei suoi paesaggi culturali, le acquisisce, le conserva, le comunica e le espone per promuovere la conoscenza, il pensiero critico, la partecipazione e il benessere della comunità”.

Da persona coinvolta nell’attività museale e nella ricerca sulle tematiche culturali, non iscritto a Icom, penso che sia necessario e utile che Icom giunga a una propria definizione di museo. E’ pur vero che questa nuova definizione può non essere necessariamente condivisa, o essere giudicata parziale, da chi, esterno a Icom, opera in attività culturali e sociali che interagiscono con le pratiche museali. Per arrivare a una definizione condivisa anche all’esterno di Icom è forse necessario un confronto più aperto e allargato per verificare fino a che punto la nuova definizione risponda alle domande culturali e sociali che vengono poste ai musei e a chi vi opera, magari individuando anche la necessità di formare figure e competenze nuove e diverse da quelle della maggioranza dei membri di Icom.

 

Foto: MAMbo, Museo di Arte Moderna Bologna
BOLOGNA 1979. ROCK E DINTORNI

BOLOGNA 1979. ROCK E DINTORNI

Giovani gruppi punk, di rock demenziale e new wave della scena di Bologna hanno attirato al palasport della città 6000 persone. Era il 2 aprile 1979. A pochi, oggi, gruppi come gli Skiantos, i Gaznevada, Wind Open, Luti Chroma, Bieki, Naphta, Confusional Quartet, dicono qualche cosa. Ma quella sera il palazzo dello sport era stipato oltre ogni limite.

La mostra Pensatevi liberi. Bologna Rock 1979, curata da Oderso Rubini e Anna Persiani, alla Project Room di MAMbo fino al 29 settembre, parte da questa serata di musica e energia dirompente per tessere i fili della creatività esuberante che in quegli anni faceva di Bologna una delle capitali internazionali della scena creativa.

La Project Room è sommersa da materiali vari che mostrano l’intreccio creativamente originale tra musica, video, arte, fumetti, grafica, comunicazione, movimenti, politica che ha scosso Bologna dalla metà degli anni ’70 ai primi anni ’80. Quei momenti di effervescenza culturale e sociale che a macchia di leopardo toccano varie città nel corso degli anni.

Le pareti, le bacheche, le strutture della Project Room fanno da supporto a materiali originali d’epoca. Immagini su vari supporti, video, LP in vinile, documenti, fumetti, materiali visivi e grafici, strumentazioni del tempo e pubblicazioni indipendenti tessono la tela delle contaminazioni che hanno prodotto espressioni artistiche e comunicative nuove.

Muoversi in questa stanza provoca un leggero stato di ebbrezza perché si è sopraffatti dai materiali che l’affollano. Dalla visione di un centinaio di vinili che ci scrutano asettici alla fascinazione delle fanzine originali di Harpo’s, A/traverso, Svacco, Punkreas, Music Mecanique, The Great Complotto. Dalla commozione ingenua che proviamo davanti alle cassette audio all’emozione delle fotografie, al sorriso che ci dona il ritratto di Freak Antoni realizzato da Piero Manai e la scossa provocata dai collage originali di Traumfabrick, dove incontriamo Andrea Pazienza, Filippo Scozzari, Giampietro Huber, Giorgio Lavagna.

Una timeline corre sulle quattro pareti e riprende il contesto storico caratterizzato dagli eventi che in quegli anni si sono succeduti a Bologna. Quelli artistici, come la Settimana Internazionale della Performance alla Gam, un unicum a livello mondiale, la presenza del Living Theater fino al treno di John Cage e al concerto di Patty Smith. Quelli che hanno ferito e segnato la città come la morte di Francesco Lorusso, la Strage di Ustica e quella della Stazione. E infine gli eventi che in quegli anni trasformavano il mondo e il nostro modo di vivere.

La visita può suscitare un sentimento passivo di nostalgia per una Bologna che non c’è più, oppure, auspicabilmente e specialmente per chi quegli anni non li ha vissuti direttamente, la sorpresa di come sia stato e sia, quindi, ancora possibile sperimentare momenti di contaminazione tra arti e stili di vita che esplodano in forme creative nuove che accrescono la felicità sia individuale che pubblica.

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