Dear You – Per te

Dear You – Per te

Il Museo entra a casa tua. Non attraverso la presenza virtuale del digitale. Ma entra fisicamente. Non con le proprie mura o le proprie collezioni, ma con sei opere d’arte realizzate per questa occasione, per te.

Dear you è il titolo (che sottolinea l’intimismo legato alla ricezione di una lettera) del progetto curato da Caterina Molteni che consiste di sei interventi di artisti internazionali, le cui opere sono concepite come poesie, brevi racconti, opere in forma di lettera, che tu potrai ricevere tramite corrispondenza postale.

Gli artisti riflettono su temi di fondamentale importanza nella nostra contemporaneità, quali la perdita di contatto fisico e le relative ripercussioni sulla vita emotiva, l’indebolimento della vita sociale condivisa e la necessità di creare nuove strategie di relazione e di cura al di là dell’esperienza digitale.

Gli artisti coinvolti nel progetto sono Hamja Ahsan (Londra, 1981), Giulia Crispiani (Ancona, 1986), Dora García (Valladolid, 1965), Allison Grimaldi Donahue (Middletown, 1984), Ingo Niermann (Bielefeld, 1969) e David Horvitz (Los Angeles, 1982).

Grazie a Dear You le sei opere d’arte entrano a casa tua recuperando una modalità di veicolazione analogica, lenta che sospende l’agire convulso di questi tempi di call continue. Entra con un rito che per decenni ha accompagnato il nostro rapporto con il mondo. Il suono del campanello e una voce che dice: “Posta in buca”.

Per tanti è un gesto emotivamente forte, con venature nostalgiche, quando il rituale della lettera si componeva di varie fasi, tra cui l’attesa (che non prevedeva l’inseguimento voyeristico dei pacchi che aspettiamo tappa per tappa). Qui è l’attesa vera di una lettera che ha i suoi tempi. Poi la gioia di scendere per vedere che cosa c’è nella buchetta delle lettere. E infine il piacere di aprire la lettera indirizzata a voi.

Per la generazione Z è invece una esperienza nuova, direi quasi rivoluzionaria. Aspettare una lettera con tempi indefiniti, così poco funzionale e per giunta recapitata nella buchetta delle lettere.

In questi tempi di incertezza è una proposta delicata che si rivolge direttamente a ciascuno di noi, in Italia o fuori Italia. Hai la possibilità di ricevere sei lettere a distanza di un paio di settimane l’una dall’altra con sei opere d’arte.

Il MAMbo entra così in punta di piedi in casa tua e ti propone questa collezione attraverso un gesto che definirei poetico. L’adesione a Dear you avviene tramite iscrizione online dal sito del MAMbo fino al 14 marzo 2021. I costi di iscrizione alle sei lettere sono € 20; ai titolari Card Cultura € 12.

MAMbo: Riallestimento collezione permanente

MAMbo: Riallestimento collezione permanente

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna si ripresenta al pubblico dal 4 febbraio con un importante intervento di rivisitazione e riallestimento di parti della collezione permanente, accompagnato da interventi strutturali, che si svilupperà nell’arco del 2021.

Le sezioni che appaiono già rinnovate dal nuovo ordinamento curato da Uliana Zanetti e Barbara Secci con la supervisione del direttore artistico Lorenzo Balbi, sono quelle dedicate all’Informale e all’Ultimo Naturalismo, mentre è stata costruita ex-novo un’area tematica sull’arte Verbo-Visuale.

A ridisegnare completamente gli spazi espositivi nel segno del dialogo con l’ambiente esterno (come già avvenuto al piano terra con le porte-finestre della Sala delle Ciminiere) è anche la riapertura delle finestre della manica lunga, che appare così decisamente trasfigurata, non solo dal nuovo allestimento delle opere ma anche dalla possibilità di scambio osmotico dentro/fuori.

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Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte

Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte

Al Museo Morandi di Bologna, con la riapertura al pubblico è visibile fino all’11 aprile 2021 Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte a cura di Giusi Vecchi, incentrata sul tema al quale Giorgio Morandi ha maggiormente legato la sua fama: la natura morta, declinata nei suoi aspetti tonali e compositivi.

I 10 lavori in mostra appartengono tutti all’ultima stagione della ricerca artistica morandiana, che va dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta, caratterizzata da una cospicua produzione e da una ricchezza creativa, che fa registrare un numero altissimo di nature morte (quasi settecento). In questa fase matura della sua vicenda artistica, Giorgio Morandi indaga a fondo l’idea di serie e di variante.

MAMbo e Museo Morandi osservano i seguenti orari:
martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 14.00 – 19.00
chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi

 

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Le plaisir de vivre

Le plaisir de vivre

Il Museo Davia Bargellini di Bologna riapre con la mostra Le plaisir de vivre Arte e moda del Settecento veneziano.

Questa mostrasull’arte del Settecento veneziano, che rimarrà aperta fino al 12 settembre, valorizza ulteriormente il progetto museografico originario del fondatore e primo direttore del Museo, Francesco Malaguzzi Valeri che cento anni fa riordinò “la oramai ricchissima collezione di antichi mobili e soprammobili con l’aggiunta dei quadri, così che ne derivò all’insieme carattere di appartamento, meglio che di museo”.

Il Settecento vissuto nella quotidianità nobiliare e senatoria all’interno del Palazzo di Strada Maggiore a Bologna dialoga, oggi, col Settecento fastoso, elegante, raffinato che si aggirava nei palazzi affacciati sui canali più belli di Venezia, richiamando il Settecento depositato nella memoria di Francesco Malaguzzi Valeri: “Quando le sale si animano con la presenza di visitatori e gli ori corruschi dei ricchi mobili del fastoso Settecento nel più grande salone si accendono e brillano, la sera, alla luce delle lampade elettriche da mille e cinquecento candele, par meno difficile rievocare

l’andirivieni antico delle dame agghindate e dei gentiluomini in spadino in attesa del Cardinal Legato e il lento ondular delle danze e degli inchini leggiadri al suono degli strumenti musicali, oggi muti in un angolo”.

A questo plaisir du vivre è dedicato il centenario del nostro museo Davia Bargellini che arricchisce così il suo già importante patrimonio permanente proveniente dalle botteghe veneziane con opere di rara bellezza custodite al Museo di Palazzo Mocenigo. Modelli di abbigliamento, accessori della moda del tempo e memorie della fastosità laica e ecclesiastica abiteranno il museo Davia Bargellini per ben quattro mesi, grazie a un felice e tenacemente inseguito accordo tra la Fondazione Musei Civici Venezia e l’Istituzione Bologna Musei.

Soprattutto oggi ci rendiamo conto che la missione dei musei pubblici è sempre più essere e agire come istituzioni culturali che aiutano a riflettere sul presente e sul futuro partendo da un pensiero intelligente sul passato, grazie anche a una cooperazione reciproca come quella che in questa mostra ha avvicinato Venezia a Bologna.

Museo Davia Bargellini
Le plaisir de vivre Arte e moda del Settecento veneziano dalla Fondazione Musei Civici di Venezia
A cura di Mark Gregory D’Apuzzo, Massimo Medica, Chiara Squarcina
2 febbraio – 12 settembre 2021

Cia, MoMA, Arte

Cia, MoMA, Arte

Cia, Nelson Rockfeller e MoMA (Museum of Modern Art di New York) hanno anticipato negli anni ’50 ciò che oggi è sempre più di moda, il Soft Power.

Partendo dalla constatazione che la potenza internazionale degli stati si compone sia di aspetti materiali (risorse economiche e militari) che immateriali (cultura e valori) Joseph Nye nel 1990 ha parlato, per primo, di soft power. Lo ha definito come la capacità degli stati di aumentare la propria reputazione internazionale e l’attrattività e diffusione dei propri valori, modelli culturali, pratiche politiche senza la necessità di impiegare la forza né incentivi economici. La seduzione sostituisce la coercizione. La seduzione culturale va progettata in maniera meticolosa con buone dotazioni di mezzi e spesso attraverso operazioni coperte e segrete.

Nel 2015 una puntata della serie televisiva di Bottega Finzioni su Sky Arte, “Le Muse Inquietanti” a cui ho partecipato, era incentrata sul rapporto tra l’artista statunitense Jackson Pollock e la Cia.

Questa relazione, inserita nel contesto più ampio dei rapporti tra Cia, Moma e Espressionismo Astratto, è approfondita nel libro di Jennifer Dasal ArtCurious: Stories of the Unexpected, Slightly Odd, and Strangely Wonderful, appena pubblicato da Penguin Books.

La Cia, fondata nel 1947, includeva al proprio interno la divisione Propaganda Assets Inventory, costola della guerra psicologica posta in atto per promuovere opinioni e atteggiamenti favorevoli agli Stati Uniti nel clima di Guerra Fredda. Questa divisione della Cia ha creato nel 1950 il Congress for Cultural Freedom (CCF), una operazione dell’intelligence rimasta coperta fino 1966. Il CCF, che doveva apparire come legato a musei o organizzazioni artistiche, aveva uffici in 35 paesi, stipendiava decine di persone, pubblicava più di 20 riviste di prestigio, organizzava esposizioni d’arte, aveva un proprio servizio per la diffusione delle notizie e articoli di opinione, organizzava conferenze internazionali e ricompensava musicisti e altri artisti con premi e pubblici riconoscimenti.

Jennifer Dasal ricorda che “il museo maggiormente coinvolto fu il MoMA, grazie alla partecipazione di Nelson Rockfeller, politico, filantropo e futuro vice presidente degli Usa, con Gerald Ford. Rockfeller e il MoMA vanno mano nella mano, in quanto la madre è stata una delle co-fondatrici della istituzione, che Nelson chiamava Mommy’ Museum. D’altra parte Rockfeller aveva familiarità con i servizi segreti essendo stato coordinatore dell’ Inter-American Affairs for Latin America durante la seconda guerra mondiale, un’altra agenzia di propaganda”.

Grazie alla presidenza del del board del trustees del MoMA, Rockfeller rese possibile l’organizzazione di alcune delle mostre di maggior successo del CFF, compresa la grande mostra del 1958‒59 “The New American Painting.”

La Cia ha quindi usato l’espressionismo astratto come un’arma utile della guerra fredda e come prova della creatività, della libertà intellettuale e del potere culturale degli Usa.

Alla confluenza dell’Astrattismo e del Surrealismo, l’Espressionismo Astratto si diffonde negli anni ’50 e diventa emblema dell’arte americana. Manifestazione di un modo di sentire di una nuova generazione accomunata soprattutto dal rifiuto delle strutture politiche e sociali dominanti in quell’epoca. Si assiste a un cambiamento nell’iconografia astratta. Non più forme regolari, ma macchie, segni, sbavature e pennellate libere, basate su valori tonali puri e contrastanti, indice della individualità dell’artista, suo punto di vista emozionale.

La Cia lo individuò come un apporto specificamente americano all’arte moderna e lo promosse nel mondo all’oscuro degli artisti che lo portavano avanti che avrebbero rifiutato, se ne fossero venuti a conoscenza, di essere utilizzati come strumenti di propaganda del governo statunitense.

Gli obiettivi della Cia erano, in primo luogo, contrapporre al realismo sovietico figlio dell’ideologia comunista, un’arte aiconica e promuovere una visione degli Usa come terra della libertà di espressione, leader nelle arti e nella cultura contro un’Europa vecchia che stava perdendo il ruolo che aveva detenuto fino alla fine della seconda guerra mondiale.

L’ Espressionismo Astratto veniva propagandato anche per ripulire l’immagine culturale americana dal bigottismo maccartista: l’America è aperta alla cultura e all’arte della critica attraverso l’esportazione non

del mainstream conservatore ma della cultura liberal di New York. Una operazione di mistificazione propagandistica che funzionò bene.

La mostra principale e di maggior successo organizzata dal CFF sotto gli auspici del MoMA fu “The New American Painting” che viaggiò all’estero per un anno toccando le principali città dell’Europa occidentale, tra cui Londra, Parigi, Berlino, Milano. “Questo tour nei paesi amici degli Usa ricopriva una funzione strategica. Era un modo per cementare l’alleanza tra i partner della Guerra Fredda e promuovere la tanto decantata preminenza culturale degli Stati Uniti per la prima volta nella storia”.

Oggi a operazioni coperte di questo tipo da parte dei servizi segreti, che scopriremo solo in futuro, si accompagnano modalità più visibili e spettacolarii di soft power e diplomazia culturale come l’apertura di filiali dei grandi musei occidentali in paesi con tradizioni culturali molto diverse.

Fascino dei Corali Miniati

Fascino dei Corali Miniati

I manoscritti antichi esercitano un fascino crescente per noi che da oltre 500 anni utilizziamo libri a stampa. Osservare le miniature che arricchiscono e valorizzano anche artisticamente queste opere dell’ingegno artigianale offre una esperienza unica che Umberto Eco ha reso universalmente popolare con Il Nome della Rosa.

Pur essendo stati realizzati non per essere ammirati ma per essere utilizzati – nel caso dei manoscritti liturgici durante le funzioni religiose-, nel corso dei secoli hanno subito danni più o meno rilevanti.

Quindi prima di valorizzarli attraverso progetti che li promuovano a un pubblico che va oltre gli studiosi è necessario restaurarli.

E’ quanto sta avvenendo a Bologna a cinque corali miniati di grandi dimensioni (circa cm 59 x 41) straordinari per pregio storico-artistico, ricchi di miniature, in parte pergamenacei, provenienti da istituzioni ecclesiastiche bolognesi e ora appartenenti al Museo internazionale e biblioteca della Musica della Istituzione Bologna Musei . Questi miniati, come è avvenuto alla maggioranza di queste opere, hanno subito negli anni l’asportazione di parecchie carte, verosimilmente, le più riccamente miniate che sulla base di affinità decorative e contenuto liturgico possono essere identificate perché conservate in istituzioni e collezioni private.

Il progetto che comprende varie fasi – restauro, conservazione, digitalizzazione e infine valorizzazione e promozione – è affidato a un gruppo di lavoro coordinato da Antonella Salvi per l’Ibacn (Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e a Jenny Servino per l’Istituzione Bologna Musei.

La prima fase è lo studio conoscitivo sulle legature e sulle coperte a pelle, con legno, borchie, cantonali, ottone. Poi al restauro conservativo sui pezzi farà seguito la riproduzione digitale che ne garantirà una più vasta fruizione da parte di studiosi, ricercatori e appassionati di tutto il mondo, grazie alla possibilità di esaminare, non solo in sede ma anche a distanza attraverso il web, documenti antichi che richiedono attenzioni particolari e soprattutto una movimentazione limitata.

Il corpus dei libri liturgici del Museo internazionale e biblioteca della Musica, composto da oltre un centinaio di libri manoscritti e a stampa risalenti al periodo che va dal X al XV secolo, compresi i cinque manoscritti di imminente restauro, costituisce parte della collezione bibliografica musicale di padre Giovanni Battista Martini (1706-1784), riconosciuta fra le più prestigiose al mondo. Si deve infatti alla vasta erudizione e all’incontenibile desiderio di conoscenza dello storiografo, compositore e teorico bolognese, personalità tra le più eminenti e ammirate del Settecento musicale europeo, la formazione di un patrimonio librario di enorme valore, frutto di un attentissimo lavoro di ricerca ed esame critico delle fonti. La sua ricchissima collezione libraria all’epoca raggiunse oltre 17.000 volumi.

Il fondo dei manoscritti liturgici in particolare si distingue per rilevanza sia dal punto di vista bibliografico che storico-artistico, anche in virtù della eterogeneità delle tipologie raccolte: messali, innari, graduali, cantorini, vesperali, rituali e processionali.

Le misure di sicurezza Covid19 hanno impedito di costruire attorno a questo inizio del progetto un momento pubblico significativo. L’intento è trasformare il ritorno dei manoscritti al Museo in una condivisione ampia della bellezza dei manoscritti liturgici restaurati e in un concerto sui contenuti di questi codici musicali.