Uno, cento, mille Dams

Uno, cento, mille Dams

Novembre 1971.

Inizio l’insegnamento di 60 ore di esercitazioni all’interno del Corso di Sociologia del Dams, appena nato. L’anno successivo diventano 70 ore.

Dal 1973 proseguo come docente.

Laureato nel 1970, per età e stile di vita ero sicuramente più vicino agli studenti a cui facevo lezione che ai docenti che incontravo al Consiglio di Facoltà, molti impregnati ancora di quella cultura baronale contestata ma purtroppo non sconfitta nel ‘68.

Ma con i colleghi del Dams era diverso.

C’erano quelli che già insegnavano in altri atenei e che venivano a Bologna attratti dalla sfida lanciata da Benedetto Marzullo. Grandi professionisti nel campo dell’arte, comunicazione, musica, spettacolo, stimolati intellettualmente dalla prospettiva di insegnare all’Università. Infine i più giovani che, come me, iniziavano a insegnare proprio al Dams. Ci sentivamo una comunità, impegnati in una vera e propria avventura affascinante e controcorrente: costruire un corso di laurea unendo teoria e pratica all’interno della struttura rigida e chiusa dell’Università italiana.

Per alcuni si trattava di ripensare discipline tradizionali, per altri di affrontare temi nuovi, come nel mio caso, ovvero definire il perimetro delle comunicazioni di massa. Perimetro teorico, con bibliografie scarse e perimetro di sperimentazioni pratiche che si modellavano sulle tecnologie in continua evoluzione.

Ci eravamo dati almeno tre anni per sperimentare il tragitto, possibilmente con numeri di studenti contenuti. Invece, dai 120 studenti iniziali ad oltre 1000 in un anno. Segno che il Dams rispondeva a una domanda latente e che, allo stesso tempo, la sua esistenza alimentava una domanda nuova. Il Dams, o almeno l’immagine percepita del Dams, ci stava sfuggendo perché veniva costruita principalmente dagli studenti. Quasi ogni studente, infatti, aveva in testa un Dams tutto suo, che non solo non combaciava, in larga parte, con ciò che stavamo progettando, ma che si diversificava dalla percezione che avevano gli altri iscritti. Uno, cento, mille Dams.

Già dal secondo anno dovemmo fare fronte a problemi logistici di reperimento di aule e, soprattutto, di gestione del Dams come mito, veicolato dal passa parola degli studenti e dalle testate informative che si soffermavano sugli aspetti più spettacolari e sorprendenti della sottocultura damsiana.

Mito, perché era percepito come una università-non-università. L’unico corso di laurea che insegnava discipline artistiche, sicuramente più interessante e meno noioso, con esami – si diceva – più facili da superare.

Mito, perché veniva percepito come spazio di libertà, privo di inibizioni, collocato al centro di una città percepita, specialmente da chi proveniva dal Sud, come permissiva verso quei comportamenti al bando nei paesi di provenienza.

Mito, perché si pensava che la creatività fosse il coagulo di tutto ciò che avveniva al Dams e attorno al Dams. Che questo corso di laurea ti portasse a fare della tua creatività, o presunta tale, una professione: regista, attore di cinema e teatro, fumettaro, scrittore, rock band member, poeta, artista.

Questa percezione mitica del Dams è stata per anni una potente forza attrattiva per i diplomati di tutta Italia, innestando un evidente processo di autoselezione.

In classe si percepiva immediatamente. Frequentare le aule era, per le matricole, un vero e proprio rito di iniziazione: dopo poche settimane adottavano lo stile dell’apparenza che faceva damsiano, o damsiana.

Questa immagine mitica operava non solo sugli studenti, ma su tutta la città. In questo caso come disagio e timore dei damsiani, stigmatizzati fancazzisti, brutti, sporchi e cattivi. Nell’immaginario cittadino il damsiano era il diverso, il caos incomprensibile nei comportamenti, da tenere lontano.

Questa percezione mitica riverberava anche su noi che insegnavamo al Dams. Per una parte della città e dei colleghi eravamo sperimentatori che si aggiravano in territori del sapere accademicamente poco esplorati, per altri, studiosi bizzarri che insegnavano contenuti culturalmente marginali a una massa di studenti che superava la metà degli iscritti alla Facoltà di Lettere e Filosofia, rischiando di inquinare la serietà della proposta didattica complessiva.

Il Dams, corso di laurea aperto alla realtà esterna che penetrava all’interno anche con le sue contraddizioni, come accadde nel ’77, era in ogni caso permeato di una effervescenza culturale che coinvolgeva tutti coloro che lo frequentavano: docenti e studenti che sperimentavano un modo diverso di intendere la didattica.

Iniziare il mio percorso intellettuale di docente al Dams mi ha permesso, grazie anche al confronto generoso che avevamo tra colleghi, di portare avanti ricerche che non si chiudevano nei confini di canoni disciplinari accademici ma che si muovevano più ai bordi delle discipline, per riuscire ad afferrare il senso profondo di fenomeni comunicativi di massa nel loro incessante modificarsi.

Questo è il testo che ho scritto per il libro No Dams. 50 anni del Corso di Laurea in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo (a cura di Claudio Marra e Arianna Casarini) Pendragon Editore.

 

Nella foto sto facendo un intervento alla assemblea Dams, 3 marzo 1977. Archivio Fotografico Enrico Scuro

L’arte danza al museo.

L’arte danza al museo.

Grazie al progetto Danza e Danze, curato da Vittoria Cappelli e Monica Ratti e inserito all’interno della terza edizione di Dancin’Bo, quattro sedi espositive dell’Istituzione Bologna Musei si sono trasformate in un palcoscenico d’eccezione in cui aprirsi e dialogare con il linguaggio della danza.

Gli otto video realizzati, e concessi come dono speciale, saranno diffusi su tutti i canali di comunicazione dei musei coinvolti.

 

Scarica il comunicato stampa cliccando QUI

 

 

Dear You – Per te

Dear You – Per te

Il Museo entra a casa tua. Non attraverso la presenza virtuale del digitale. Ma entra fisicamente. Non con le proprie mura o le proprie collezioni, ma con sei opere d’arte realizzate per questa occasione, per te.

Dear you è il titolo (che sottolinea l’intimismo legato alla ricezione di una lettera) del progetto curato da Caterina Molteni che consiste di sei interventi di artisti internazionali, le cui opere sono concepite come poesie, brevi racconti, opere in forma di lettera, che tu potrai ricevere tramite corrispondenza postale.

Gli artisti riflettono su temi di fondamentale importanza nella nostra contemporaneità, quali la perdita di contatto fisico e le relative ripercussioni sulla vita emotiva, l’indebolimento della vita sociale condivisa e la necessità di creare nuove strategie di relazione e di cura al di là dell’esperienza digitale.

Gli artisti coinvolti nel progetto sono Hamja Ahsan (Londra, 1981), Giulia Crispiani (Ancona, 1986), Dora García (Valladolid, 1965), Allison Grimaldi Donahue (Middletown, 1984), Ingo Niermann (Bielefeld, 1969) e David Horvitz (Los Angeles, 1982).

Grazie a Dear You le sei opere d’arte entrano a casa tua recuperando una modalità di veicolazione analogica, lenta che sospende l’agire convulso di questi tempi di call continue. Entra con un rito che per decenni ha accompagnato il nostro rapporto con il mondo. Il suono del campanello e una voce che dice: “Posta in buca”.

Per tanti è un gesto emotivamente forte, con venature nostalgiche, quando il rituale della lettera si componeva di varie fasi, tra cui l’attesa (che non prevedeva l’inseguimento voyeristico dei pacchi che aspettiamo tappa per tappa). Qui è l’attesa vera di una lettera che ha i suoi tempi. Poi la gioia di scendere per vedere che cosa c’è nella buchetta delle lettere. E infine il piacere di aprire la lettera indirizzata a voi.

Per la generazione Z è invece una esperienza nuova, direi quasi rivoluzionaria. Aspettare una lettera con tempi indefiniti, così poco funzionale e per giunta recapitata nella buchetta delle lettere.

In questi tempi di incertezza è una proposta delicata che si rivolge direttamente a ciascuno di noi, in Italia o fuori Italia. Hai la possibilità di ricevere sei lettere a distanza di un paio di settimane l’una dall’altra con sei opere d’arte.

Il MAMbo entra così in punta di piedi in casa tua e ti propone questa collezione attraverso un gesto che definirei poetico. L’adesione a Dear you avviene tramite iscrizione online dal sito del MAMbo fino al 14 marzo 2021. I costi di iscrizione alle sei lettere sono € 20; ai titolari Card Cultura € 12.

MAMbo: Riallestimento collezione permanente

MAMbo: Riallestimento collezione permanente

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna si ripresenta al pubblico dal 4 febbraio con un importante intervento di rivisitazione e riallestimento di parti della collezione permanente, accompagnato da interventi strutturali, che si svilupperà nell’arco del 2021.

Le sezioni che appaiono già rinnovate dal nuovo ordinamento curato da Uliana Zanetti e Barbara Secci con la supervisione del direttore artistico Lorenzo Balbi, sono quelle dedicate all’Informale e all’Ultimo Naturalismo, mentre è stata costruita ex-novo un’area tematica sull’arte Verbo-Visuale.

A ridisegnare completamente gli spazi espositivi nel segno del dialogo con l’ambiente esterno (come già avvenuto al piano terra con le porte-finestre della Sala delle Ciminiere) è anche la riapertura delle finestre della manica lunga, che appare così decisamente trasfigurata, non solo dal nuovo allestimento delle opere ma anche dalla possibilità di scambio osmotico dentro/fuori.

Scopri di più QUI

 

Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte

Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte

Al Museo Morandi di Bologna, con la riapertura al pubblico è visibile fino all’11 aprile 2021 Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte a cura di Giusi Vecchi, incentrata sul tema al quale Giorgio Morandi ha maggiormente legato la sua fama: la natura morta, declinata nei suoi aspetti tonali e compositivi.

I 10 lavori in mostra appartengono tutti all’ultima stagione della ricerca artistica morandiana, che va dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta, caratterizzata da una cospicua produzione e da una ricchezza creativa, che fa registrare un numero altissimo di nature morte (quasi settecento). In questa fase matura della sua vicenda artistica, Giorgio Morandi indaga a fondo l’idea di serie e di variante.

MAMbo e Museo Morandi osservano i seguenti orari:
martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 14.00 – 19.00
chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi

 

Scopri di più cliccando QUI